Brand activism: di cosa si tratta

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Una marca che dimostra impegno e coinvolgimento verso una o più cause di rilevanza sociale, ambientale, politica o culturale, attua una strategia di brand activism.

Il brand activism è la manifestazione della volontà da parte dell’azienda di dimostrarsi attiva in ambito sociale e partecipare al raggiungimento del “bene comune”.

Il brand activism: l’attivismo dei marchi

Nel Ventunesimo secolo il ruolo assunto dal marketing e dalle aziende in generale non è solo la comunicazione di un purpose sociale, ma di attuare un vero e proprio piano d’azione, profondamente coerente. I clienti si aspettano che un brand prenda posizione su temi sociali, ambientali, culturali e che si mostri attivo in tale ambito.

Il brand activism è dunque il nuovo modo di fare impresa. Le aziende, infatti, per prosperare e attirare clienti devono avere un ruolo attivo nel sociale, considerando tematiche che toccano la sensibilità del pubblico.

Riassumendo, l’attivismo delle aziende è la volontà esplicita di voler prendere parte a cause in ambito sociale. Significa, pertanto, prendersi le proprie responsabilità in merito al raggiungimento di un bene considerato comune.

L’azienda, dunque, non è più un sistema chiuso, ma entra in conversazione con diversi attori, come istituzioni, politici, attivisti e altre aziende. Questa rete di relazioni dà poi vita a una vera a propria diplomazia di brand

La mission, dunque, non è più solo il guadagno, ma la soddisfazione di esigenze sociali.

Perché il brand activism è importante

Appare evidente che la componente sociale di un business è fondamentale proprio perché l’azienda è parte integrante della società. le aziende che attuano il brand activism sono aziende society-drive, ossia realtà che si fanno guidare dai problemi della società.

Il messaggio culturale è al centro e il prodotto viene messo in secondo piano.

È bene, inoltre, evidenziare l’esistenza di due tipologie di brand activism: quello progressivo e quello regressivo.

L’attivismo di tipo progressivo è caratterizzato da un impegno attivo e propositivo delle aziende che lo attuano. Quello regressivo, invece, definisce modelli di aziende atte a nascondere gli effetti negativi del prodotto offerto. Un chiaro esempio è dato dalle compagnie di tabacco che per decenni ne hanno negato le conseguenze nefasta per i consumatori.

L’attivismo dei brand e gli insight

Nella realizzazione di una pubblicità che segua le linee guida del brand activism è fondamentale tenere conto degli insight, ossia di tutti i particolari che il pubblico fornisce, consentendo di conoscerlo meglio. Maggiormente le pubblicità saranno impegnate, più profondo sarà il livello di coinvolgimento.

Ad esempio, le tensioni culturale veicolano un livello più profondo di insight, poiché mette in campo emozioni e percezioni a esse collegate.

Inoltre, dai sondaggi più recenti appare che le aziende reputate incoerenti o esterne alle questioni sociali, sono negative per l’opinione pubblica. Le nuove generazioni hanno sui brand altissime aspettative. Secondo i Millennial e la Gen Z, infatti, le aziende devono essere in grado di risolvere problemi sociali o invitare a farlo.

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Return on investment: il ROI

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Il return on investment, noto come ROI, è un indice di redditività che misura la capacità dell’impresa di impiegare le risorse a disposizione e misura la redditività corrente del capitale investito nella gestione.

L’indice ROI si rivela particolarmente utile per confrontare tra loro i rendimenti derivanti da forme diverse di investimento.

ROI: di cosa si tratta

Il return on investment, ossia il ROI, è traducibile come indice di redditività del capitale investito o tasso di rendimento degli investimenti. Questo esprime indicazioni sulla redditività della gestione operativa d’impresa, rappresentata come percentuale annua di rendimento sul capitale investito.

Il ROI è uno degli indicatori di redditività. Questi sono indicatori finalizzati alla valutazione tra l’equilibrio economico aziendale e alla misurazione delle capacità dell’azienda di produrre reddito e generare risorse.

Appare chiaro che il ROI sia uno degli indici di bilancio più utilizzati. Questo può essere calcolato non solo a livello aziendale, ma anche a livello di business.

Il return on investment è calcolabile tramite il rapporto tra il reddito operativo (RO) e il capitale investito (CI). Pertanto, più è alto l’indicatore più la campagna si definisce redditizia.

Il capitale investito si indica come attivo operativo. L’attivo operativo usato nella formula è calcolato come la media dell’attivo operativo tra inizio e fine esercizio.

Formula per calcolare il ROI

Il valore del ROI viene espresso in percentuale.

Esemplificando, se un’azienda ha un return on investment del 10% significa che per ogni 100 euro investiti nell’attività operativa si genera un rendimento annuo del 10%, ossia 10 euro di reddito operativo.

Problematiche del return on investment

Sono presenti alcune critiche relative all’utilizzo del return on investment. Difatti, in una campagna sono coinvolti differenti canali e non si dimostra facilmente attribuibile un guadagno a uno specifico canale.

Inoltre, gli acquisti si mostrano come frutto di lunghe operazioni e molti prodotti possono essere acquistati più di una volta.

Inoltre, alcune campagne non fruttano nell’immediato e soprattutto nei canali offline la misurazione del ROI è molto più complessa.

Nonostante quanto appena espresso, il ROI resta uno strumento importante per un’azienda, soprattutto quando si parla di marketing.

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Sentiment Analysis: l’analisi dei sentimenti degli utenti

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La Sentiment Analysis è un’analisi che traccia le interazioni tra utenti, in un determinato spazio e tempo. Nello specifico è un’analisi computazionale di sentimenti e opinioni espressi nei testi generati in Rete su un prodotto, servizio, etc.

Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.

Sentiment Analysis: di cosa si tratta

Con l’avanzata tecnologica e la diffusione dei social media, tutti gli utenti hanno cominciato a rilasciare commenti, opinioni e giudizi in Rete. Ciò ha comportato la costituzione di una mole di dati da analizzare da parte delle istituzioni, personaggi politici e brand.

La possibilità di conoscere l’acquirente o il potenziale cliente, consente di studiarne le abitudini di consumo, le preferenze e le idee. Queste sono azioni fondamentali nelle fasi di pianificazione delle operazioni di marketing di un’azienda. Quanto appena descritto viene definito sentiment analysis.

Più nello specifico, considerando la social network analysis, ossia dallo studio delle reti sociali da un punto di vista formale e contenutistico, nasce la sentiment analysis.

Questo studio è l’analisi computazionale di sentimenti e opinioni espressi nei testi, post, commenti, generati in Rete su un prodotto, un servizio, un’organizzazione, etc.

Coloro che rilasciano queste opinioni sono detti portatori di opinione, o anche noti come opinion holder o opinion source. L’opinione espressa ha un orientamento positivo, negativo o neutro. L’orientamento dell’opinione è definito anche sentiment orientation, polarity of opinion o semantic orientation.

Campi d’azione

I campi d’azione della sentiment analysis ricadono, indubbiamente sulle piattaforme che consento di estrarre informazioni utili per le aziende. Tra tutte, i social media vengono utilizza per compiere previsioni sul presente (nowcasting) e sul futuro (forecasting). Ciò rende importante la possibilità di avvalersi della sentiment analysis poiché è possibile analizzare le opinioni in tempo reale.

I settori in cui è possibile utilizzarla sono molteplici: dalla politica ai mercati azionari, dal marketing alla comunicazione, dall’ambito sportivo a quello delle scienze mediche e naturali. Ma non solo: è possibile misurare anche le preferenze del consumatore/spettatore in relazione a programmi televisivi, film e spettacoli di vario genere.

L’utilità della sentiment analysis per l’azienda

Ad oggi, grazie alle analisi dei sentimenti le aziende hanno la possibilità di avere molte più informazioni correlate alla percezione degli utenti. La sentiment analysis permette parallelamente di profilare gli utenti e comprendere le loro principali caratteristiche demografiche. Difatti questa viene definita un’attività meno macchinosa e dispendiosa delle vecchie indagini di mercato.

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Vision aziendale: di cosa si tratta

vision aziendale

Col termine vision aziendale si identificano in ambito economico e aziendale tutte le proiezioni del contesto e dello scenario futuro in cui l’impresa opera. Una vision si ritiene efficace se si dimostra coerente con gli obiettivi di lungo periodo, come i valori aziendali e le aspirazioni.

Vision aziendale: definizione

La vision aziendale corrisponde, dunque, a una proiezione di come l’azienda apparirà nel futuro.

Questa serve per definire gli obiettivi di lungo periodo che l’azienda vuole raggiungere. Si basa su valori, aspirazioni e ideali del business che ha la volontà di raggiungere. Si tratta della guida alla base del progetto imprenditoriale, ossia l’ambizione, il sogno dell’impresa futura.

Affinché queste previsioni possano rivelarsi efficaci è importante che la vision sia definita, esplicita e condivisa.

Riassumendo, la vision aziendale deve avere alcuni aspetti e concetti fondamentali:

  • l’ambiente interno ed esterno in cui l’azienda opera;
  • gli obiettivi futuri realistici;
  • un arco temporale entro cui realizzare tali obiettivi;
  • i valori aziendali;
  • lo scenario futuro.

La condivisione degli aspetti della vision sono fondamentali per diffondere i valori aziendali, gli obiettivi del singolo e del gruppo. Questo affinché tutti i dipendenti dell’azienda si sentano parte integrante e fondamentale della comunità in cui lavorano.

Ciò non è sufficiente, però, affinché la vision aziendale risulti performante. La condivisione è fondamentale, ma è ugualmente necessario che questa sia realistica e concreta. Infatti, se manca la coerenza tra ciò che il manager dice e il suo relativo comportamento, questo minerà la credibilità della visione.

Come definire la visione aziendale

Considerati questi aspetti principalmente teorici, come viene effettivamente individuata la visione aziendale?

Anzitutto appare indispensabile rispondere a una serie di specifiche domande come:

  • Qual è l’ambito in cui l’azienda opera?
  • Qual è lo scopo dell’azienda?
  • Quale grande problema sta cercando di risolvere?
  • Quali sono gli obiettivi futuri realistici e come cambierà il mondo grazie a questa azienda?
  • Quali sono i valori dell’azienda?
  • Qual è lo scenario che vuole realizzare?

Tramite la definizione di questi concetti, si delinea uno statement, ossia un motto che guidi l’azienda verso l’auspicata crescita e vero gli obiettivi. Difatti, la vision in quanto immagine ideale dell’azienda dev’essere sì realista ed esplicita, ma anche lungimirante e ambiziosa.

Spesso si tende a sottovalutare il concetto di vision aziendale, ritenendolo superfluo o troppo astratto: in realtà la sua definizione è fondamentale per tenere sempre a mente lo scopo ultimo dell’azienda e il sogno ambizioso con cui si è partiti: molto spesso, infatti, nel concentrarsi sulla gestione delle attività quotidiane, si perdono facilmente di vista gli obiettivi a lungo termine e le azioni necessarie a proseguire sul cammino della crescita.

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Analisi SWOT: come fare pianificazione strategica

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L’analisi SWOT è una tecnica che viene utilizzata per identificare i punti forti, le opportunità, i punti deboli e le minacce della tua azienda o di un progetto specifico. Tale analisi può essere utilizzato sia per scopi personali che professionali. La sua rappresentazione più nota è quella grafica, sotto forma di matrice.

Cos’è l’analisi SWOT

La maggior parte delle pianificazioni strategiche ha alla base un’analisi SWOT utilizzata come punto di partenza. Con l’acronimo SWOT (streghts, weakness, opportunities, threats) si fa riferimento alle variabili intrinseche ed estrinseche di cui ogni impresa tiene conto prima di dar vita a un progetto o di rivoluzionare la propria azienda.

Le quattro variabili presenti sono raffigurate tramite una matrice e rivelano gli elementi interni ed esterni all’organizzazione.

L’apporto in termini qualitativi di un’analisi SWOT è quello di fornire dei dati che mostrino le reali condizioni di un’azienda all’interno del contesto territoriale in cui opera. La sua applicazione non si limita a una fase preliminare, ma viene utilizzata tutte le volte che l’impresa necessita di informazioni d’insieme.

Leggi anche: Valutazione di un sito web: di cosa si tratta e perché è importante

Punti di forza

Volendo analizzare tutti i punti d’esame presenti in una SWOT è bene partire dai punti di forza dell’organizzazione. Ossia tutte le iniziative interne che danno buoni risultati. Questi vanno confrontati con altre iniziative, e vanno considerati come vantaggi competitivi esterni. L’analisi dei punti di forza aiuta a comprendere cosa sia vincente, così da applicare le strategie in tutti gli ambiti dell’organizzazione.

Punti di debolezza

I punti deboli nell’analisi SWOT si riferiscono a iniziative interne che non rendono quanto dovrebbero. È una buona idea analizzare i punti di forza prima di quelli di debolezza per tracciare una linea tra il successo e il fallimento. Identificare i punti deboli interni fornisce un punto di partenza per migliorare tali progetti.

Opportunità

Le opportunità nell’analisi SWOT sono il risultato dei tuoi attuali punti di forza e debolezza, insieme a qualsiasi iniziativa esterna che ti metterà in una posizione competitiva più forte. Potrebbe trattarsi di punti deboli che si vogliono migliorare o aree che non sono state identificate nelle prime due fasi dell’analisi. 

Minacce

Le minacce nell’analisi SWOT si riferiscono ad aree che potenzialmente potrebbero creare problemi. Sono influenze esterne e generalmente fuori dal controllo. Possono essere di tutto, da una pandemia globale a un cambiamento nel panorama competitivo.

Come fare un’analisi SWOT

Compresi i punti da analizzare per la realizzazione di un’analisi SWOT, adesso è opportuno comprendere come realizzare una SWOT analysis.

Esistono dei punti fondamentali da seguire, tra cui:

  • definizione dell’obiettivo da raggiungere;
  • definizione di abilità, risorse e vantaggi dei fattori interni;
  • definizioni di opportunità e minacce esterne;
  • inserimento dei dati all’interno delle matrice SWOT;
  • selezione delle possibili azioni da intraprendere.

Per attuare un’analisi SWOT è necessario osservare questi passaggi che prendono il via dalla definizione dell’obiettivo strategico che si intende raggiungere.

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Brand positioning: la strategia di posizionamento del brand

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Il brand positioning è definibile come la strategia di mercato di posizionamento del brand. Segnala, dunque, la posizione occupata da un brand, con i prodotti e servizi offerti, nella mente dei consumatori, rispetto ai competitor. La differenziazione, fondamentale per il posizionamento, riguarda caratteristiche di unicità del prodotto, la comunicazione pubblicitaria, la customer experience o la brand identity stessa.

Brand positioning: di cosa si tratta

I processi di acquisto legati a un prodotto, un servizio o ancora a un brand, occupano una posizione nella mente dei consumatori in base a categorie specifiche. Si tratta dell’insieme di percezioni e impressioni che il prodotto scaturisce rispetto ai competitor presenti sul mercato. Pertanto, il brand positioning dev’essere desiderabile, settoriale e distintivo.

La buona posizione di un brand permette all’azienda di essere unica rispetto ai marchi concorrenti. Questo avviene, anche, grazie a benefici che gli utenti ottengono o all’enfasi su segmenti specifici del mercato.

Un posizionamento efficace del marchio enfatizza ulteriormente gli elementi di superiorità lungo una o più dimensioni distintive che sono apprezzate dai consumatori.

È inevitabile, dunque, che una strategia di branding costruita ad hoc, debba comprendere il brand positioning.

I vantaggi di un buon posizionamento

Prima di poter parlare chiaramente dei vantaggi che un ottimo posizionamento porta all’azienda, è bene comprendere che un passaggio preliminare fondamentale da effettuare è la selezione di un segmento di mercato specifico. L’azienda deve aver bene chiaro il target di riferimento per poter costruire una differenziazione efficace rispetto ai competitor. Alla base della differenziazione vi è la cosiddetta value proposition, ossia un posizionamento che gode della combinazione tra benefici che offre la suddetta posizione.

La value proposition riguarda quindi il valore in più che la marca può offrire a quel segmento di mercato, rispetto ai competitor.

La differenziazione su cui si fonda il posizionamento del brand, poi, può riguardare elementi molto diversi. Dalle caratteristiche proprie del prodotto, dunque qualità superiore, design, durata della performance, etc.

 Il posizionamento punta su gentilezza, competenze specifiche o professionalità dello staff oppure l’azienda può decidere di focalizzarsi, come elemento di differenziazione, sulla brand image.

Ma come creare un brand positioning efficace e di successo?

Fasi del brand positioning

Per ottenere un brand positioning di successo vi sono dei passaggi imprescindibili da seguire.

Un’azienda che vuole puntare sul brand positioning, ancor prima di iniziare con le strategie, deve avere ben chiara l’attuale posizione del brand nel mercato. È fondamentale, dunque, che, tramite l’analisi della posizione corrente, si possa avere una visione chiara di come l’azienda lavora al momento.

Successivo e indispensabile è l’identificazione delle concorrenza diretta. Questo si effettua tramite un’analisi dei marchi che rappresentano un’effettiva minaccia per il brand.

Il brand deve, dunque, comprendere il valore fondamentale, i punti di forza del marchio, la natura dei prodotti e dei servizi offerti, l’etica e i fondamenti dei marchi competitivi, oltre a individuare le loro proposte di vendita uniche e i fattori che li rendono diversi e unici sul mercato e nella mente dei clienti. Questo consentirà, anche, la comprensione del posizionamento dei brand concorrenti.

Una volta conosciuti i gli avversari, è necessario avere ben chiara l’unicità propria del marchio. Si tratta di un’approfondito studio dei valori e dei fondamenti su cui il brand si formula. Dai punti di forza, alle proposte di valore, passando per la visione a lungo termine, sino agli attributi che rendono il marchio unico nel settore.

Compiuto lo studio è obbligatorio sviluppare proposte di vendita uniche e, conseguentemente, lavorare sulle dichiarazioni (statement), come la dichiarazione di mission, la dichiarazione di vision, e il payoff del brand che è allegato con il logo ufficiale.

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Brand Journalism: la promozione di un brand tramite il giornalismo

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Brand journalism è uno degli strumenti più utilizzati per consolidare e promuovere un brand. Si tratta di una modalità di marketing che coniuga le caratteristiche proprie del giornalismo, come trovare notizie e trasmetterle, e applicarle al brand e alla sua crescita.

Contestualmente all’utilizzo del brand journalism viene redatto un piano editoriale che servirà per la comunicazione aziendale.

Sebbene sia chiaro che si tratti di una modalità largamente utilizzata, è bene scoprirne le caratteristiche.

Il brand journalism

Il brand journalism nasce negli Stati Uniti nel 2004 e significa letteralmente giornalismo d’impresa. Con tale termine si indica un tipo di comunicazione che racconta all’utente il brand, la sua storia, la mission e i principi sui quali si basa.

“Il brand journalism è la cronaca degli eventi che accadono nel mondo di un brand, attraverso i giorni e gli anni. É così che creiamo per il brand un reale valore percepito dal cliente.”

Larry Light

Contribuisce ad ampliare e rafforzare l’universo di valori associati al brand, al fine di raggiungere un ampio numero di target diversificati.

Non si tratta di un giornalismo dai fini commerciali, difatti non viene impiegato per promuovere un prodotto o pubblicizzare un servizio. Il brand journalism si utilizza per produrre e diffondere notizie strettamente legate al brand.

Dalla storia, alla notorietà, così da creare un racconto e una narrazione che diano vita a un ambiente adatto al pubblico, che trasmette la personalità del brand.

Questo offre una panoramica sulle scelte, sui temi centrali, sulla politica aziendale.

Il compito del giornalista è comprendere quando una notizia può diventare rilevante per il pubblico che ha davanti, capire cosa lo emoziona e cosa lo fa entrare in empatia con il brand.

Caratteristiche del giornalismo d’impresa

Il brand journalism:

  • si fonda sui principi del giornalismo e dello storytelling;
  • crea storie basate su fatti, notizie e reali sviluppi legati all’azienda;
  • ricerca la notiziabilità;
  • è multimediale;
  • si avvale di supporto audio, video, fotografico.

Leggi anche: Brand Advocacy: cos’è e come si usa nelle strategie di marketing

Come fare giornalismo d’impresa

I social network sono indubbiamente tra i mezzi fondamentali per fare giornalismo d’impresa.

Contestualmente sarà possibile, per il giornalista che si occupa di brand journalism, gestire anche un blog, nel quale inserire storie, raccontare aneddoti e creare un rapporto col pubblico.

Si tratta, in conclusione, di una tecnica vincente perché considera tutti gli aspetti della comunicazione e tutti i suoi mezzi, da video, audio, podcast, immagini, testi, senza tralasciare o ignorare nulla.

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Brand Advocacy: cos’è e come si usa nelle strategie di marketing

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Ad oggi, gli utenti interessati a effettuare un acquisto si affidano alle recensioni di altri acquirenti che hanno già provato il prodotto in questione. Dai commenti lasciati nella pagina del venditore, o alle recensioni online, sino ai consigli dei conoscenti. Il passaparola, ancora oggi, è una delle tecniche di marketing migliori e più efficaci.

Uno degli strumenti più utili per fidelizzare il cliente, rendendolo un promotore dell’azienda è rappresentato dalle strategie di Brand Advocacy.

Brand Advocacy

Il termine deriva da brand advocate e racchiude tutti i consumatori che ritengono soddisfatti dalla marca e che, oltre a utilizzarla, la consigliano tramite il passaparola. I brand advocate esprimono infatti il proprio giudizio in maniera totalmente disinteressata e , pertanto, deve essere considerato come veritiero e affidabile.

Il brand advocay è dunque un chiaro indicatore di brand loyalty e rappresenta il massimo grado di fedeltà a una marca.

In tal modo il marchio diviene visibile a un pubblico sempre più crescente, aumentandone le entrate, senza alcun investimento in pubblicità o iniziative di marketing tradizionali.

Leggi anche: Brand advertising tra web e spot TV: come cresce un business

Strategie di brand advocacy

Le tecniche e strategie che si nascondono dietro il brand advocacy sono molto semplici. Funzionano perché sono reali, semplici, autentiche. I brand advocate parlano bene di un marchio perché credono nel suo valore e sono soddisfatti nel condividere gli aspetti positivi con amici, familiari, conoscenti. E non esiste nulla di più coinvolgente di una persona vicina che parla con trasporto e veemenza di un prodotto di qualsiasi tipo.

Le persone, infatti, tendono a fidarsi dei consigli di persone reali e conoscenti, piuttosto che a dar credito ad altre forme di marketing.

Brand advocate o brand ambassador?

Affinché una strategia di brand advocacy vada a buon fine e funzioni nel tempo è importante individuare dei sostenitori che difendano sempre il marchio.

Tuttavia è bene non confondere il brand advocate con il brand ambassador. Gli ambasciatori del marchio sono professionisti pagati per promuovere un determinato prodotto o servizio, mentre il brand advocate appare genuino poiché ha scelto un prodotto o servizio e ama l’azienda.

Il brand advocacy può far emergere un’azienda. È una potente macchina pubblicitaria che funziona in qualsiasi settore poiché basa il successo di un brand su come le persone lo percepiscono. E avere una comunità di brand advocate disposti a promuovere e difendere la tua attività contribuisce a questo.

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Come costruire la brand identity

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Non si tratta di prodotti, ma di identità. A differenziare un brand all’interno della moltitudine di marchi presenti sul mercato è la sua storia, ciò che racconta e come il pubblico di riferimento lo percepisce. Non si parla solo del nome o del logo, si fa riferimento alla mission, alla storia, alla personalità. Tutto questo, e molto altro, è descritto dalla brand identity.

Perché investire nella brand identity

In una realtà commerciale nella quale si deve sgomitare con altre centinaia di marchi che propongono i medesimi prodotti e servizi, i brand devono saper dare importanza alla mission. Far uscire la propria voce fuori dal coro significa mostrare unicità e la singolarità di un brand viene pagata in termini di attenzione da parte del pubblico.

Il consumatore è portato a entrare in empatia con un’azienda quando la percepisce umana. Il brand deve raccontare la sua storia, tratteggiare un’immagine e spiegare le motivazioni dietro il suo ingresso sul mercato.

La brand identity si traduce nella consapevolezza del marchio, soprattutto in relazione con i competitor.

Costruzione della brand identity

Affinché un brand sia in grado di presentare una brand identity credibili ed efficace, non è necessaria solo una profonda conoscenza dello stesso, ma bisogna porsi delle domande sulla base di modelli di comunicazione denominati USP, SSP, ESP e CTSP.

USP

Con USP, o Unique Selling Proposition, si definisce cosa renda il proprio brand unico. Questo è, infatti, un parametro di specificità, che permette al brand stesso di essere consapevole della propria offerta e delle differenze concrete dai competitor.

SSP

Prendendo in considerazione lo Status Selling Proposition, si sposta il focus sullo status, ossia si punta a far comprendere al cliente che con l’acquisto di un prodotto si ottiene un dato status sociale. Questo all’interno dell’affermazione del sé all’interno di un gruppo diviene un fattore fondamentale. Le pratiche d’acquisto moderne sono quasi totalmente orientate verso l’acquisizione di una posizione nella scala sociale. Difatti, la SSP è solitamente applicata ai brand di lusso, che propongono al pubblico uno stile di vita.

ESP

L’Emotional Selling Proposition si concentra sulle emozioni che il brand, o il prodotto, suscita sull’acquirente. Ciò condurrà verso un cambiamento, o miglioramento, della condizione dell’acquirente.

CTSP

Con la CTSP si sfruttano le tensioni sociali e culturali. Di solito si parla di CTSP in relazione al Brand Activism, cruciale all’interno della nascita di una brand identity. La mission, l’impegno sociale, ciò in cui crede un brand rendono la nascita di un pubblico di riferimento molto più semplice e immediata. In questo caso i clienti si percepiranno inclusi, impegnati e ispirati dal brand.

Mettiamo in pratica strategie a misura di brand, perché ogni azienda ha una storia da raccontare: valorizzarla è il primo passo per renderla unica. 

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Brand reputation: il valore di un’azienda passa dalla brand identity

Brand reputation e brand identity

Il valore di mercato di un’azienda è fatto per il 25% della sua brand reputation. A dirlo è uno studio del World Economic Forum, che pone la buona reputazione di cui un brand gode come una delle priorità fondamentali delle aziende moderne. Il web ha rivoluzionato il marketing e cambiato le dinamiche del mercato: ancora più evidente risulta, oggi, che la scelta dei consumatori sia dettata dalla buona percezione che hanno del brand, a volte prima ancora che dal suo prodotto. 

Una buona reputazione si costruisce attraverso diversi tasselli, che riguardano in senso stretto l’immagine e la notorietà di un’azienda. La brand identity è il primo di questi tasselli, alla base di una strategia che dia visibilità e riconoscibilità all’azienda agli occhi dell’opinione pubblica. 

Brand reputation, che cos’è la brand identity?

Una brand reputation che si rispetti passa da una brand identity costruita su misura di brand. Sono diversi gli elementi che contribuiscono a creare l’identità di un’azienda: dal nome, al pay off, al logo, passando dai colori, dal tone of voice e dalla sua mission. Propedeutico a ogni scelta di identità di un brand è però lo studio meticoloso del pubblico di riferimento. Un lungo processo di analisi interna e di mercato definisce infatti il target verso cui veicolare il messaggio dell’azienda. 

L’insieme degli elementi identitari costruisce quindi l’immagine del brand. Evocherà sensazioni positive al pubblico di consumatori a cui la strategia viene rivolta e permetterà all’azienda di distinguersi dai suoi competitor. 

Gli elementi della brand identity

Al fine di costruire una brand reputation che susciti effetti positivi nel proprio target, è fondamentale che la brand identity si componga di alcuni elementi chiave. Da tenere bene a mente in ogni strategia applicata al brand e che lo accompagnino in ogni sua ‘esposizione’ al pubblico. 

Un buon punto di partenza, dunque, è la definizione di:

  • Filosofia del brand. Chiarire la mission aziendale non solo serve alla costruzione dell’identità dell’azienda, ma è fondamentale anche per trasmettere al pubblico di consumatori un messaggio chiaro e rassicurante.
  • Naming. 
  • Visual branding. Stile del sito web, colori e immagini evocative devono essere coerenti fra di loro e nel tempo. 
  • Logo.
  • Voce e tono del brand. La scelta del tone of voice è parte essenziale di una strategia di identità che si rispetti. Deve essere adeguata al pubblico a cui il brand si rivolge e coerente con l’intera strategia.

La brand image così costruita restituisce al consumatore l’immagine del brand e pone le basi per una brand reputation che dia valore all’azienda. 

Mettiamo in pratica strategie a misura di brand, perché ogni azienda ha una storia da raccontare: valorizzarla è il primo passo per renderla unica. 

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