Gamification: di cosa si tratta

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Se un tempo i videogiochi erano visti che un semplice passatempo, o un hobby dal coltivare, negli ultimi decenni l’universo video-ludico ha trovato numerose implicazioni esterne, soprattutto nell’universo del marketing. Nota come gamification descrive l’applicazione di prerogative ludiche in realtà che normalmente ne sono prive o in contesti non legati al gioco.

Vediamo caratteristiche e peculiarità della gamification.

Cos’è la gamification

Col termine gamification si intende l’utilizzo di elementi provenienti dall’universo dei giochi e delle tecniche del game design, in contesti non ludici, come, ad esempio, all’interno di una strategia aziendale.

Nel marketing la ludicizzazione si utilizza per raggiungere un determinato obiettivo, come quello di divertire, motivare o coinvolgere l’utente.

Tramite tale applicazione si fidelizza l’utente al brand e si tenda di vendere un prodotto. Inoltre, si dimostra particolarmente efficace poiché rompe la monotonia della quotidianità, raramente interrotta da azioni piacevoli, come il gioco.

La gamification, pertanto, ha lo scopo di coinvolgere le persone tramite il divertimento e il gioco.

Gamification nel marketing

La gamification, come già detto, viene spesso utilizzata nelle strategie del marketing. Ciò accade grazie alla capacità di creare e appagare, desideri e bisogni umani. L’utente ha degli obiettivi da raggiungere, livelli da superare e una competizione sana con atri utenti.

Affinché una strategia di marketing, ove è applicata la ludicizzazione, sia efficace sono fondamentali tre punti principali:

  • motivazione: il processo amplifica il processo e coinvolge l’utente e lo spinge a usufruire del servizio;
  • apprendimento: la ludicizzazione spinge l’utente a inseguire un obiettivo finale;
  • libertà: l’utente viene così stimolato a partecipare, senza essere costretto.

I benefici della ludicizzazione

L’utilizzo della gamification nelle strategie aziendali di marketing è fondamentale per modificare il comportamento delle persone.

Alcuni evidenti benefici sono il consolidamento di interesse attivo da parte degli utenti coinvolti verso il messaggio che si vuole comunicare. Inoltre, si ottiene la fidelizzazione del cliente e l’acquisizione di nuovi clienti.

La gamification si può applicare a molteplici ambiti, quali il sito internet dell’azienda, la strategia social, una campagna a pagamento online. 

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Immersive Journalism: il giornalismo nella realtà virtuale

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L’immersive journalism è un genere di giornalismo noto per il suo sfruttamento delle tecnologie digitali, come realtà virtuale o aumentata, insieme a tecniche narrative particolari. Il nome deriva dalla capacità di immergere i sensi del lettore, all’interno dello scenario narrato, così da donargli un ruolo attivo nella storia.

Immersive Journalism: di cosa si tratta e come si definisce

L’immersive journalism non viene definito univocamente, nonostante non manchino i casi studio e di best practice.

L’European Journalism Observatory tenta di fornire una definizione parlando di tecniche transmediali che immergono il lettore nelle storie giornalistiche tramite personificazione di tipo virtuale.

Si fa, inoltre, riferimento alla produzione di news che consentono alle persone di sperimentare in prima persona l’evento o la situazione della storia.

Elementi e caratteristiche

Gli elementi fondamentali che più di tutto caratterizzano l’immersive journalism sono due: la tecnologia e la modalità di interazione.

Con la tecnologia si ricrea virtualmente lo scenario in cui è accaduto, o accade, il fatto. Ciò consente al fruitore di immergersi totalmente nella situazione. Solitamente, la tecnologia utilizzata è quella della realtà virtuale, o aumentata. Anche utili possono essere foto e video a 360° o visualizzazioni 3D.

Con la modalità di interazione si definisce il ruolo del lettore-fruitore nello svolgimento della storia. Può, infatti, essere un semplice osservatore, come trattarsi di un agente indispensabile per avanzare la storyline.

Anche se definito immersivo, il giornalismo non rinuncia a tecniche narrative tanto tradizionali quanto essenziali, che contribuiscono alla riuscita del pezzo giornalistico.

Tecnologia e immersive journalism

Appare chiaro e innegabile che la tecnologia ha avuto, e ha ancora, un ruolo fondamentale per la nascita del giornalismo immersivo.

Dal perfezionamento di foto e video in 3D, rendering, ologrammi, realtà aumentata e realtà virtuale.

Tuttavia, proprio questo eccesso di tecnologia ha portato verso una serie di dubbi sulla sostenibilità economica del giornalismo immersivo, quanto per le redazioni tanto per il pubblico stesso.

Difatti, essendo nota la crisi economica del giornalismo tradizionale, ci si domanda come sia possibile che redazioni, anche piccole, possano investire in tecnologie produttive o in professionisti con le competenze corrette.

Parimenti, dal lato utente, device come visori per VR e AR, fondamentali per fruire pienamente di queste narrazioni, non sono entrate nell’uso di massa.

Coloro che vogliono puntare sul giornalismo immersivo non possono che tenere conto di ciò.

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Brand activism: di cosa si tratta

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Una marca che dimostra impegno e coinvolgimento verso una o più cause di rilevanza sociale, ambientale, politica o culturale, attua una strategia di brand activism.

Il brand activism è la manifestazione della volontà da parte dell’azienda di dimostrarsi attiva in ambito sociale e partecipare al raggiungimento del “bene comune”.

Il brand activism: l’attivismo dei marchi

Nel Ventunesimo secolo il ruolo assunto dal marketing e dalle aziende in generale non è solo la comunicazione di un purpose sociale, ma di attuare un vero e proprio piano d’azione, profondamente coerente. I clienti si aspettano che un brand prenda posizione su temi sociali, ambientali, culturali e che si mostri attivo in tale ambito.

Il brand activism è dunque il nuovo modo di fare impresa. Le aziende, infatti, per prosperare e attirare clienti devono avere un ruolo attivo nel sociale, considerando tematiche che toccano la sensibilità del pubblico.

Riassumendo, l’attivismo delle aziende è la volontà esplicita di voler prendere parte a cause in ambito sociale. Significa, pertanto, prendersi le proprie responsabilità in merito al raggiungimento di un bene considerato comune.

L’azienda, dunque, non è più un sistema chiuso, ma entra in conversazione con diversi attori, come istituzioni, politici, attivisti e altre aziende. Questa rete di relazioni dà poi vita a una vera a propria diplomazia di brand

La mission, dunque, non è più solo il guadagno, ma la soddisfazione di esigenze sociali.

Perché il brand activism è importante

Appare evidente che la componente sociale di un business è fondamentale proprio perché l’azienda è parte integrante della società. le aziende che attuano il brand activism sono aziende society-drive, ossia realtà che si fanno guidare dai problemi della società.

Il messaggio culturale è al centro e il prodotto viene messo in secondo piano.

È bene, inoltre, evidenziare l’esistenza di due tipologie di brand activism: quello progressivo e quello regressivo.

L’attivismo di tipo progressivo è caratterizzato da un impegno attivo e propositivo delle aziende che lo attuano. Quello regressivo, invece, definisce modelli di aziende atte a nascondere gli effetti negativi del prodotto offerto. Un chiaro esempio è dato dalle compagnie di tabacco che per decenni ne hanno negato le conseguenze nefasta per i consumatori.

L’attivismo dei brand e gli insight

Nella realizzazione di una pubblicità che segua le linee guida del brand activism è fondamentale tenere conto degli insight, ossia di tutti i particolari che il pubblico fornisce, consentendo di conoscerlo meglio. Maggiormente le pubblicità saranno impegnate, più profondo sarà il livello di coinvolgimento.

Ad esempio, le tensioni culturale veicolano un livello più profondo di insight, poiché mette in campo emozioni e percezioni a esse collegate.

Inoltre, dai sondaggi più recenti appare che le aziende reputate incoerenti o esterne alle questioni sociali, sono negative per l’opinione pubblica. Le nuove generazioni hanno sui brand altissime aspettative. Secondo i Millennial e la Gen Z, infatti, le aziende devono essere in grado di risolvere problemi sociali o invitare a farlo.

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Mobile marketing: come comunicare tramite mobile

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Il mobile marketing è l’insieme di pratiche che permettono alle aziende di comunicare con un pubblico raggiungibile tramite i dispositivi mobili, come cellulari e smartphone.

Cos’è il mobile marketing

Col termine mobile marketing si identificano tutte le azioni e strategie di marketing che vedono come protagonista la comunicazione mobile tramite dispositivi come smartphone, tablet e tecnologie wearable. Questa tipologia di marketing abbraccia una fascia di pubblico eterogenea per genere, età e comportamento d’acquisto. Ad oggi ricopre un ruolo chiave nei piani di comunicazione aziendale.

Appare chiaro che l’esperienza mobile sia differente rispetto a una navigazione da desktop. L’uso, le abitudini e i bisogni di navigazione degli utenti. In quest’ottica la presenza di strategie di marketing adatta così da sviluppare un piano strategico funzionale per aziende e brand.

Per potersi affacciare a questa tipologia di marketing è possibile utilizzare diverse e molteplici soluzioni. Si parte dai voice alert, ai classici SMS, dalle mail alle augmented reality. Tuttavia, sono le applicazioni e i mobile website i migliori strumenti per creare una relazione profonda tra brand e utente, sia da un punto di vista funzionale che contenutistico.

Si consiglia, solitamente di sviluppare un mobile website, che si mostra come strumento immediato che non necessita di download o problemi di compatibilità o upgrade. Ciò garantisce molti vantaggi in termini di rapporto costi/benefici, questo infatti consente di comunicare a un’ampia reach tramite piattaforme con costi sostenuti.

Al contrario, non sempre è necessario che un brand abbia una mobile app.

Strategie di mobile marketing

Per poter utilizzare al meglio il mobile marketing è possibile far riferimento a numerose strategie, tra cui: QR Code Marketing; SMS Marketing; App Marketing e Native Mobile Advertising.

QR Code Marketing

Il QR Code Marketing è una strategie di mobile marketing che prevede l’utilizzo di un QR code decodificabile tramite l’utilizzo di un dispositivo mobile. È possibile utilizzarli per la promozione di un nuovo prodotto. Il potenziale cliente può scegliere di raggiungere il prodotto attraverso il proprio smartphone e l’utilizzo di un QR code.

SMS marketing

Col termine SMS Marketing si fa riferimento alle strategie di marketing caratterizzate dall’invio di SMS contenenti promozioni o offerte riservate agli iscritti di un dato database. Utilizzare il mobile marketing per coinvolgere nuovi contatti può essere una soluzione a basso costo se il coinvolgimento dei nuovi contatti avviene attraverso referral: i contatti esistenti vengono incentivati a promuovere l’azienda o il servizio presentando nuovi contatti con benefit per entrambi.

App marketing

Le campagne di App Marketing funzionano tramite notifiche push he coinvolgono l’utente a partecipare a concorsi a premi, a rispondere a domande o a prendere parte a iniziative organizzate da brand.

Nella declinazione di app adv si trovano forme di banner in app, interstitial ads e reward ads che accompagnano l’utente durante la sua navigazione.

Native Mobile Advertising

Il Native Mobile Advertising  al contrario della pubblicità tradizionale è meno invasivo e si adatta al contesto in maniera camaleontica.

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Social Media Policy: cos’è e a cosa serve

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Far riferimento alla Social Media Policy significa riferirsi a un regolamento interno a un’azienda che, una volta firmato, vale quanto tutte le altre regole aziendali. Questa tipologia di contratto stabilisce le regole di condotta per chi lavora nell’azienda e interagisce con le piattaforme social.

Non si tratta di semplici linee guida, poiché la mancanza di rispetto della Social Media Policy ha conseguenze sul piano disciplinare.

Social Media Policy: la definizione

Nell’universo della comunicazione social le policy aziendali non si possono esimere dal regolamentare la presenza dei brand sui social network.

La Social Media Policy, giuridicamente, è un contratto che prevede sanzioni disciplinari per chi non lo rispetta ed è essenziale per l’immagine e la brand reputation dell’azienda.

Appare importante definire due tipologie di Social Media Policy:

  • Interna: destinatari sono dipendenti, fornitori e collaboratori esterni all’azienda che utilizzano i canali social personali e che s’interfacciano con i canali del brand
  • Esterna: riguarda la comunicazione fra utenti e brand che avviene attraverso i canali social ufficiali dell’azienda.

A cosa serve la Social Media Policy

Considerando che l’80% degli utenti comunica tramite i social, esprimendo opinioni e giudizi, anche le aziende spesso sono presenti sulle piattaforme. In questa realtà, la Media Policy ha l’obiettivo di evitare che la comunicazione online danneggi le aziende stesse. Il suo scopo è la tutela del brand reputation aziendale. Parimenti, definisce le modalità di interazione con la community esterna.

Sebbene spesso le aziende adottino una regolamentazione social solo dopo una crisi reputazionale, è stato comprovato che questa si dimostra fondamentale indipendentemente da eventuali crisi.

Il regolamento, come detto, oltre a tutelare la brand reputation, regolamenta le conversazioni e le interazione sui social, definendo le modalità di interazione con la community che nasce e si sviluppa attorno al brand.

Attualmente, inoltre, ha un ulteriore valore che le aziende stanno comprendendo. L’utilizzo corretto dei social si dimostra come uno strumento utile all’ampliamento del messaggio del brand.

Si parla, difatti, di employer branding.

Employer branding

L’employer branding è la percezione che i dipendenti e i collaboratori hanno del brand per cui lavorano.

Si tratta di una vera e propria strategia di marketing volta al miglioramento della percezione del brand. È una tecnica strettamente legata al regolamento della policy perché i canali di attuazione della strategia sono i social network.

Come scrivere una Social Media Policy

In fase di redazione di una Social Media Policy vi è la volontà di evidenziare i valori del brand, senza limitarne la libertà di espressione dei soggetti coinvolti.

Il documento finale non sarà indicativo o approssimativo, ma prescrittivo e preciso, così da non essere soggetto a possibili interpretazioni.

Per scrivere una social policy è bene rispettare alcune linee guida fondamentali:

  • spiegare le motivazioni alla base della policy;
  • indicare la funzione della pagina social;
  • elencare le regole del comportamento da rispettare;
  • citare le sanzioni per chi non rispetta le regole;
  • utilizzare uno stile chiaro, in linea con l’azienda.

Una Social Media Policy non può essere, chiaramente, copiata da quelle di altri, ma ogni policy e studiata ad hoc per l’azienda.

Per essere valido ed efficace, il regolamento dev’essere approvato e sottoscritto dall’amministratore delegato, dal diretto del personale e del rappresentante sindacale.

Per essere resa attiva e applicabile in concreto deve essere firmata da tutte le parti coinvolte in azienda.

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Return on investment: il ROI

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Il return on investment, noto come ROI, è un indice di redditività che misura la capacità dell’impresa di impiegare le risorse a disposizione e misura la redditività corrente del capitale investito nella gestione.

L’indice ROI si rivela particolarmente utile per confrontare tra loro i rendimenti derivanti da forme diverse di investimento.

ROI: di cosa si tratta

Il return on investment, ossia il ROI, è traducibile come indice di redditività del capitale investito o tasso di rendimento degli investimenti. Questo esprime indicazioni sulla redditività della gestione operativa d’impresa, rappresentata come percentuale annua di rendimento sul capitale investito.

Il ROI è uno degli indicatori di redditività. Questi sono indicatori finalizzati alla valutazione tra l’equilibrio economico aziendale e alla misurazione delle capacità dell’azienda di produrre reddito e generare risorse.

Appare chiaro che il ROI sia uno degli indici di bilancio più utilizzati. Questo può essere calcolato non solo a livello aziendale, ma anche a livello di business.

Il return on investment è calcolabile tramite il rapporto tra il reddito operativo (RO) e il capitale investito (CI). Pertanto, più è alto l’indicatore più la campagna si definisce redditizia.

Il capitale investito si indica come attivo operativo. L’attivo operativo usato nella formula è calcolato come la media dell’attivo operativo tra inizio e fine esercizio.

Formula per calcolare il ROI

Il valore del ROI viene espresso in percentuale.

Esemplificando, se un’azienda ha un return on investment del 10% significa che per ogni 100 euro investiti nell’attività operativa si genera un rendimento annuo del 10%, ossia 10 euro di reddito operativo.

Problematiche del return on investment

Sono presenti alcune critiche relative all’utilizzo del return on investment. Difatti, in una campagna sono coinvolti differenti canali e non si dimostra facilmente attribuibile un guadagno a uno specifico canale.

Inoltre, gli acquisti si mostrano come frutto di lunghe operazioni e molti prodotti possono essere acquistati più di una volta.

Inoltre, alcune campagne non fruttano nell’immediato e soprattutto nei canali offline la misurazione del ROI è molto più complessa.

Nonostante quanto appena espresso, il ROI resta uno strumento importante per un’azienda, soprattutto quando si parla di marketing.

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Festa della donna: come festeggiano i brand l’8 marzo

festa della donna

Come ogni anno e quasi come per ogni occasione, i brand propongono iniziative, sconti e messaggi promozionali volti alla celebrazione delle giornate di festa. Anche quest’anno, in occasione della Festa della donna, per sensibilizzare su questioni di genere, imprenditoria ed empowerment femminile, le aziende hanno ideato campagne ad hoc.

Le iniziative dei brand per la Festa della donna

Nell’ultimo periodo è apparso piuttosto chiaro che la Festa della donna, come tante altre ricorrenze, rappresenti un’occasione per promuovere nuove attività comunicative dei brand, studiate appositamente per l’occasione.

La Giornata internazionale della donna, nello specifico, è un’imperdibile opportunità.

Gli ultimi anni hanno confermato che la Giornata internazionale della donna è un’occasione ghiotta per attività comunicative dei brand, studiate apposta per l’occasione. Queste mirano a far riflettere su importanti tematiche legate a questioni di genere.

In vista della Festa della donna 2022 i brand hanno già lanciato alcune iniziative, anche se sarà nella giornata di domani, 8 marzo, che si scopriranno anche le altre.

Appare chiaro che non sia necessario un giorno in particolare per trattare di gender gap o di imprenditoria femminile, ma la Festa della donna è un prezioso momento per condividere contenuti che focalizzino l’attenzione su questi e altri temi.

Il messaggio di Manila Grace

Per celebrare le donne, il noto brand di abbigliamento, Manila Grace, punta tutto sull’amore. Si tratta, difatti, dell’amore “delle donne per le donne, ma soprattutto per loro stesse”.

Manila Grace ha ideato un’attività comunicativa che veicola il messaggio “Be (body) positive!”. Si tratta di un corto motivazionale, girato da cinque donne di età, stili, tratti somatici differenti. Queste donne, tramite i loro racconti, rappresentano se stesse su uno specchio, scrivendo una frase che le identifica con un rossetto proprio del brand.

Alexa per la Festa della donna

Alexa, l’assistente vocale Amazon, ha un’iniziativa pensata apposta per la Festa della donna. L’assistente vocale dà il via a una comunicazione che partirà l’8 marzo. Verrà lanciato il progetto “Donna del giorno” e da martedì 8 marzo, in poi, Alexa racconterà ogni giorno la storia di una donna italiana che si è distinta in un campo. Si parlerà di Margherita Hack, Bebe Vio, Rita Levi Montalcini, Chiara Ferragni, Raffaella Carrà, Samantha Cristoforetti e tante altre.

Per ascoltare i racconti sarà necessario chiedere Alexa, qual è la donna del giorno?

Per quanto riguarda ulteriori iniziative promosse dai brand sarà sufficiente attendere sino a domani e scoprire cos’hanno ideato per la Festa della donna 2022.

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Infodemia: di cosa si tratta

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Con il termine infodemia si indica la circolazione esagerata e incontrollata di notizie relative a un particolare argomento, così com’è accaduto con l’epidemia da Covid-19. In generale, si tratta di argomenti di cronaca, crisi socio-politche o ancora guerre. Questi rendono difficile per i cittadini l’orientamento in merito e che causano una controproducente disinformazione.

Definizione di infodemia

L’espressione infodemia deriva dall’italianizzazione di infodemic, un termine inglese derivato dalla crasi tra information ed epidemic. Il termine venne utilizzato per la prima volta per indicare l’epidemia di informazioni figlia dell’emergenza SARS del 2003. Da allora si parlò di infodemia come l’insieme di fatti, voci non confermate e teorie del complotto.

Secondo l’enciclopedia Treccani, l’infodemia si definisce come:circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”.

Come identificare i sintomi di un’epidemia dell’informazione

La coniazione del termine infodemia richiama, direttamente, una responsabilità condivisa delle pandemie di informazioni nate nei momenti di crisi.

Pandemie, epidemia, catastrofi naturali, guerre o attacchi terroristici sono momenti di grande confusione, dove diversi soggetti vogliono far sentire la propria voce. Autorità, istituzioni, politici ed esperti del settore sentono il dovere e la necessità di dare la propria opinione su ciò che sta accadendo. Ciò causa profonda confusione nelle menti dei cittadini.

La molteplicità delle voci, infatti, è permessa dalla presenza di mezzi di comunicazione come i social. Questi media consentono un accesso facilitato all’informazione, privo di barriere all’ingresso e in grado di rendere possibile la disintermediazione.

Inoltre, è bene chiarire che l’infodemia è differente da una semplice information overload. Infatti, si tratta di una sovrabbondanza non solo di notizie, ma anche di fonti e voci credibili.

E ancora, per restare alle ragioni che rendono l’infodemia in parte diversa da altre forme tipiche di disinformazione, si sottolinea anche che non è sempre sinonimo di post-verità o di fake news . La sovrabbondanza di informazioni può sì contenere un gran numero di notizie false, ma non sono indispensabili perché si possa parlare di infodemia. Difatti, anche le notizie vere, ufficiali e affidabili, se in quantità maggiore, sono sufficienti per creare infodemia.

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Tone of voice: quanto è importante il tono di voce

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Il tone of voice è fondamentale per la comunicazione di un brand. Il tone of voice è letteralmente il tono di voce che si vuole dare alla comunicazione, in accorso con l’identità della marca.

Questo definisce il carattere e la personalità che si vogliono costruire attorno a un prodotto o a un brand.

Tone of voice: di cosa si tratta

Nell’universo della comunicazione online, definire il cosiddetto tone of voice è uno step fondamentale per una strategia di marketing vincente e ben strutturata. Il tono di voce può, infatti, essere inteso come una particolare modalità di presentazione dei vantaggi offerte da un dato prodotto e degli argomenti correlati.

Il tono di voce può essere delle volte spiritoso, ironico, trasgressivo o ancora sensuale.

Letteralmente, dunque, ha l’obiettivo di dare un tono personale al brand, così da mostrare un immagine precisa al pubblico di riferimento.

All’interno di un ambiente digitale, che esclude la comunicazione non verbale, ogni elemento del messaggio deve essere trasmesso con attenzione e con un corretto tono di voce, in armonia con tutti i contenuti creati e con l’identità della marca.

Nel mondo online è fondamentale focalizzarsi non solo su quello che si comunica, ma anche e soprattutto su quello che gli utenti percepiscono.

Proprio per tale ragione il tone of voice si mostra come elemento imprescindibile di una copy strategy ed è dunque applicabile a tutta la comunicazione pubblicitaria.

Come dar vita al proprio tone of voice

In fase di costruzione di un brand o di un’identità aziendale, è fondamentale costruire un tono di voce che sia in linea con la comunicazione che si vuole trasmettere ai clienti. È essenziale quindi stabilire con accuratezza cosa dire e soprattutto come dirlo, infondendo il proprio carattere unico in ogni elemento utilizzato per esprimere il messaggio desiderato.

Ci sono alcuni passi indispensabili da seguire per dare vita al proprio tono di voce. I cinque più importanti riguardano:

  • la definizione del target;
  • lo stile del linguaggio;
  • la differenziazione;
  • la chiarezza dei propri valori;
  • il set di regole che guideranno il lavoro.

Appare pertanto fondamentale identificare i valori che caratterizzano il brand, il messaggio che vuole essere veicolato, che non può, in alcun modo, contrastare con la comunicazione del brand. Il target, poi, è l’elemento fondamentale da tenere in considerazione. A chi ci si rivolge, l’età, il sesso, la professione e l’inquadramento sociale. Sono tutti elementi che determinano il tone of voice. Infine, è bene rispettare la coerenza con i punti citati e con il resto della comunicazione. Non può, infatti, essere comunicato un messaggio con un tono e un altro con un tono differente.

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