Trend 2023: le tendenze del marketing per il nuovo anno

Trend 2023

Trasformazione omnichannel e progettualità di Intelligenza Artificiale guidano gli scenari dei trend 2023 per la comunicazione e il marketing strategico dei brand. 

Trend 2023: sostenibilità, crisi energetica, inflazione

Abbiamo sentito parlare spesso, soprattutto nel corso degli ultimi mesi, di sostenibilità e crisi climatica. Quelle che si presentano come le grandi emergenze del nostro tempo, in questo anno sono state aggravate dagli eventi globali che hanno fermato e cambiato il mondo intero. Pandemia e conflitto in Ucraina, infatti, ci hanno portato a fare i conti con un’inflazione diffusa e con una crisi energetica che ha messo in difficoltà molti Paesi. 

In questo contesto, la sfida per il marketing è, innanzitutto, quella di comunicare i valori del brand in modo credibile. Trasparenza, coerenza e concretezza sono asset fondamentali a cui le aziende non possono più rinunciare per comunicare il proprio valore e vendere i propri servizi.

Trend 2023: le tendenze del marketing

In un quadro così complesso, il marketing si apre a scenari e tendenze nuovi e sfidanti. I trend 2023 puntano a un’attenzione maggiore all’innovazione, all’autenticità e ai contenuti.

Marketing Technology e Automation

L’innovazione fa passi da gigante anche nel marketing e questo significa più strumenti da parte delle organizzazioni. Presupposto necessario per garantire oggi una Customer Experience sempre più personalizzata: mai come ora la tecnologia offre infatti nuove opportunità per le aziende di migliorare la propria immagine e costruire relazioni significative con i clienti.

Fra i trend 2023, la novità è rappresentata dall’entrata in scena di nuovi attori. La potenza dei dati personalizza le esperienze degli utenti digitali e finalizza il consumatore. Una relazione che parte dalle innovazioni tecnologiche come Big Data e dall’automazione dei processi. 

Esperienze omnichannel

Quello dell’Omnicanalità è un trend 2023 che mantiene la sua rilevanza, malgrado in Italia faccia ancora fatica ad affermarsi. Secondo l’Osservatorio Omnicanalità del Politecnico di Milano, nel 2022 solo il 6% delle imprese ha implementato una strategia avanzata, nonostante i vantaggi ormai conclamati. Il 98% di chi vive un’esperienza interamente omnicanale si dichiara infatti pienamente soddisfatto.

Creare una Omnichannel Customer Experience (OCX) resta dunque una priorità per le aziende che vogliono rimanere competitive. I clienti hanno a disposizione una varietà di modi per interagire con i marchi mai vista in precedenza e si muovono attraverso di essi disegnando percorsi non lineari, che è necessario conoscere e mappare in una vista unica. Le persone nei loro acquisti sono sempre più veloci, volubili e volatili, il che significa meno fedeli.

I brand più all’avanguardia hanno investito molto per offrire ai clienti esperienze innovative attraverso i molteplici canali fisici e digitali, con il risultato che oggi il livello delle attese è più alto che mai. Gartner con un sondaggio ha rivelato che il 75% dei consumatori ha cercato online informazioni su un marchio precedentemente sconosciuto durante gli acquisti e solo il 15% dichiara di essere fedele a un determinato marchio familiare.

Intelligenza Artificiale

Se ne parla da anni, ma oggi l’Intelligenza Artificiale è una realtà consolidata, che spesso utilizziamo senza neanche rendercene conto.

In ambito smart retail, in particolare, le applicazioni sono diverse e non solo per i big. Nei trend 2023, i nuovi strumenti di Advanced Analytics potenziati da Intelligenza Artificiale e Machine Learning aiutano a valorizzare meglio le informazioni che i clienti lasciano nei vari punti di contatto, fisici e digitali. Permettono di effettuare azioni di marketing più efficaci e personalizzate, stimolando upselling e crosselling. I vantaggi sono concreti: migliori performance di vendita, miglior Customer Lifetime Value, più fidelizzazione ed engagement del cliente, maggiore frequenza d’acquisto e scontrino medio più alto.

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Brand Loyalty: come costruire la fedeltà alla marca

Brand Loyalty: come costruire la fedeltà alla marca

La Brand Loyalty è la preferenza del consumatore a un brand specifico. Rappresenta quell’atteggiamento positivo nei confronti della marca che spinge il cliente a favorirla rispetto alle altre della stessa categoria. Oggi il Web offre nuove opportunità per le aziende di migliorare la propria immagine e costruire relazioni significative con i clienti.

Brand Loyalty: perché è importante per un brand

La Brand Loyalty misura in altre parole la possibilità, da parte del consumatore, di cambiare marca all’interno di una determinata categoria di prodotto. La fedeltà al brand deriva da un sentimento positivo percepito nei confronti di quel marchio. Si dimostra concretamente nelle preferenze di acquisto, orientate in prevalenza e in prima battuta sempre verso prodotti e servizi della stessa marca. È chiaro quindi che la Brand Loyalty rappresenta per un’azienda un fattore decisivo di fidelizzazione e determina la ripetizione dell’acquisto. 

Costruire e coltivare la Brand Loyalty, al livello più alto, assicura dunque che il brand non sia una semplice commodity. Permette inoltre di sapere cosa ispira la fedeltà al marchio (o cosa allontana i clienti): una conoscenza decisiva per prendere decisioni più intelligenti sulla strategia da adottare. 

I gradi della Brand Loyalty: la piramide di Aaker

La fedeltà alla marca non è sempre uguale e a strutturare i diversi livelli di Brand Loyalty c’è la piramide di Aaker, che individua i gradi fedeltà degli acquirenti.

Al livello più basso della piramide – e quindi al livello più debole di fedeltà alla marca – ci sono gli switchers, gli acquirenti infedeli. Non sono fedeli a nessun marchio, perché per loro il brand ha un ruolo marginale nella decisione di acquisto mentre sono rilevanti altri fattori quali convenienza, prezzo e comodità. Non hanno alcun problema a cambiare marca, da cui il termine inglese.

Al gradino superiore ci sono invece gli acquirenti abituali (satisfied or habitual buyers). Si tratta di persone che acquistano il marchio per abitudine, appunto, essendone soddisfatti e non avendo particolari motivi per cambiare. Sono però vulnerabili dalle offerte dei concorrenti, perché nel caso di benefici addizionali non avrebbero difficoltà a cambiare.

Ancora più su ci sono i satisfied buyers with switching costs, cioè gli acquirenti soddisfatti (anche) per motivi di costo, non solo economico. Sono clienti che non hanno motivi di insoddisfazione verso un brand o i suoi prodotti che possano provocare un cambiamento, anche e soprattutto a causa delle barriere che rendono faticoso questo switch. Se però i brand concorrenti riescono a soddisfare le condizioni richieste o proporre dei benefici addizionali, potrebbero effettivamente tradire il brand.

Al penultimo livello ci sono i consumatori brand likersamici del brand. L’acquirente inizia ad essere un appassionato di quella marca, sviluppando un’affinità basata soprattutto sull’emozione (e quindi senza possibilità di spiegare razionalmente questa preferenza), e lo dimostra preferendolo alle altre alternative per associazioni e percezione di alta qualità.

Alla cima della piramide della brand loyalty troviamo i clienti coinvolticommitted buyers, che hanno un’elevata fiducia nella marca, praticamente una fede incrollabile (la allegiance), al punto da raccomandare il brand ad altri clienti. 

Come aumentare la fedeltà al brand

Sono fattori come le esperienze, i valori legati all’associazione e la percezione del marchio a guidare la Brand Loyalty. E quindi a spingere i clienti ad acquistare da quell’azienda in maniera indipendente dal prezzo o dai competitor. Finché la qualità del prodotto e il livello di servizio fornito rimangono gli stessi, i clienti fedeli al marchio sentiranno poco il bisogno di controllare la concorrenza. In questo senso, la fedeltà al marchio è meno rischiosa della fedeltà del cliente.

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KPI aziendali: cosa sono i Key Performance Indicators

KPI aziendali: cosa sono i Key Performance Indicators

L’efficacia con cui un’azienda raggiunge i propri obiettivi è misurabile attraverso valori chiave che ne indica le prestazioni complessive. I KPI aziendali, Key Performance Indicators, sono infatti indispensabili nella valutazione del raggiungimento di quanto prefissato.

KPI aziendali: cosa sono

I KPI aziendali, Key Performance Indicators, rappresentano l’insieme degli indicatori chiave di prestazione aziendale. Sono solitamente espressi con valori numerici e servono a misurare i progressi che l’azienda ha fatto nel percorso di raggiungimento di determinati obiettivi. Valutare le prestazioni di un business significa infatti raccogliere e analizzare alcuni dati, numeri che indicano l’efficienza del piano strategico con cui si è scesi in campo. 

Nel processo di innovazione tecnologica e digitalizzazione dei processi di marketing a cui stiamo assistendo, si rende ancora più necessario lo studio che quantifica le prestazioni di un’azienda nel tempo. Questo il motivo per il quale l’individuazione delle metriche e degli indicatori che misurano l’efficacia delle proprie azioni è un’operazione oggi imprescindibile per qualsiasi attività.

KPI aziendali: come individuarli

Innanzitutto, la scelta dei KPI aziendali avviene a più livelli. Un’azienda deve infatti considerare Key Performance Indicators di alto livello quei KPI che si concentrano sulle prestazioni complessive dell’intero business. Gli indicatori di basso livello sono KPI che misurano invece i processi dei singoli reparti che compongono l’azienda. Da quello vendite a quello marketing, passando per le risorse umane, customer care e altri: ogni dipartimento avrà le proprie metriche che ne misureranno l’efficacia. Troppo spesso però le aziende tendono ad adottare gli indicatori chiave standard, presi indiscriminatamente dal proprio contesto. Questa scelta rende il tracciamento degli stessi un’attività poco connessa con le proprie specificità e di conseguenza non in grado di fornire informazioni pienamente utili, che influiscano positivamente sulle scelte da compiere, siano esse strategiche che più strettamente operative.

L’individuazione dei KPI deve quindi rispettare la singolarità della struttura che compone la propria azienda. Si tratta di indicatori sempre pertinenti con l’attività che si compie, aggiornati, di facile fruizione.

Potrebbe essere utile ricordare che 

  • Ogni indicatore KPI deve avere una misura. 
  • Gli indicatori hanno obiettivi che rispondono alla misurazione precedentemente individuata. Definisci range di obiettivi e soglie.
  • I KPI hanno frequenze di misurazione diverse: non perdere di vista il confronto con le metriche che hai scelto. 

KPI Marketing: esempi

KPI Marketing: quali sono gli esempi concreti di KPI aziendali utili al monitoraggio delle attività di marketing?

  • Costi di marketing per contatto o lead.
  • Numero di segnalazioni sull’azienda nei media all’anno.
  • Numero di follower nei social network (Twitter, Facebook, Instagram, LinkedIn).
  • Posizionamento SEO nei motori di ricerca.
  • Numero contatti dal web.
  • Numero nuove lead.
  • Quantità di telefonate a freddo o recall.
  • Numero mail di presentazione inviate.

I KPI saranno dunque i tuoi migliori alleati nel raggiungimento dei tuoi obiettivi principali, il modo in cui misurerai la tua crescita e le tue attività. Che tu abbia una startup in avvio, un’azienda o che tu sia il responsabile di un progetto, dovrai necessariamente essere in grado di comprendere i dati e come questi si traducono in prestazioni aziendali

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Brand identity, brand image o brand reputation

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Abbiamo già parlato di alcuni di questi concetti, ma non li abbiamo mai messi gli uni a paragone con gli altri. Ecco dunque, cosa cambia tra brand identity, brand image e brand reputation, comprendendo come questi aspetti interagiscano tra di loro per il successo di un’attività.

I tre aspetti del brand

In un mondo sempre più diviso tra online e offline spesso le realtà aziendali si interrogano su quali siano le possibilità del proprio marchio.

Farsi conoscere, apprezzare, vincere sulla concorrenza, sono solo alcuni degli aspetti da raggiungere.

I cambiamenti che negli anni hanno rivoluzionato il mercato, la comunicazione, la tecnologia. Hanno inoltre portato a mettere in evidenza la connessione tra i prodotti e i valori dell’azienda.

Cos’è un marchio, come viene visto e apprezzato, diventa un fattore determinante nella scelta del marchio stesso e dei suoi prodotti.

Ecco perché la gestione mirata del marchio è oggi alla base di qualsiasi attività commerciale.

Brand identity, image e reputation: definizioni e caratteristiche

Con questi termini ci riferiamo a identità, immagine e reputazione del marchio agiscono per dare valore e influenzare le vendite.

Anzitutto è bene chiarire cosa sia il brand: si tratta del complesso degli elementi visivi distintivi, dal logo allo slogan, che portano notorietà, online e offline, oltre che la soddisfazione del cliente.

Nella sua accezione relativa all’identity si fa riferimento al modo in cui un’azienda vuole essere percepita dal pubblico. Si definiscono tratti peculiari e comunicativi di una marca e stabilisce come si vuole comunicare.

Si costituisce di elementi visivi, quali logo, colori, caratteri tipografici e racchiude tutti i valori e gli obiettivi del marchio.

Tuttavia, non è scontato che gli utenti percepiscano l’azienda come questa vuole che i clienti la vedano. In questo caso, infatti, si parla di brand image.

Con questo termine intendiamo l’immagine del marchio, ossia l’insieme di tutti gli aspetti che definiscono lo stesso agli occhi del pubblico.

Qualità, valore e affidabilità raggiungono il cliente tramite l’immagine del marchio. Pertanto è proprio questa stessa immagine a suscitare sensazioni ed emozioni positive, così da influenzare le scelte degli utenti. La brand image nasce da percezioni soggettive.

Infine, arriviamo alla brand reputation, ossia alla considerazione favorevole che il pubblico accorda a un marchio, tenendo conto delle caratteristiche dello stesso e della sua capacità di rispondere alle esigenze dei clienti.

Si tratta della diretta conseguenza delle azioni dell’azienda e si manifesta con fiducia e apprezzamento da parte del pubblico.

In questo senso può variare a seconda del contesto sociale e culturale, ma il vero cuore della reputazione di un’azienda è il comportamento e l’approccio del marchio stesso. Legata alle relazioni interpersonali e alla comunicazione, la reputazione può essere facilmente veicolata attraverso il passaparola e interessi simili del pubblico target.

Le tre tipologie a confronto

Adesso che abbiamo chiare le definizioni è possibile parlare delle differenze. Anzitutto, partendo dall’identità e dall’immagine, è bene chiarire che non si tratta della medesima cosa.

I due aspetti, image e identity sono legati, ma guardano due passaggi differenti del processo comunicativo.

La brand identity coinvolge la fase di emissione del messaggio, mentre l’image indica come il messaggio sia recepito, assimilato e interpretato dal pubblico.

Se la brand identity coincide con l’immagine allora il marchio è visto esattamente come si desidera.

Immagine e reputazione vanno spesso di pari passo. Entrambi sono aspetti fondamentali nella comunicazione aziendale e dipendono da essa. Si fondano sull’idea che i clienti hanno del marchio e contribuiscono a creare unicità.

Infine, identity e la reputation possono essere viste come due passaggi di uno stesso percorso. Parliamo del percorso che, dall’essenza del marchio, porta al suo successo. Da una parte l’identità trasmette valori e obiettivi, mentre la reputation riflette emozioni e apprezzamento dei clienti nei confronti del marchio.

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Green marketing: il marketing ecosostenibile

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Il green marketing è la promozione di prodotti, servizi o attività che vengono promosse come ecologicamente sicure e sostenibili a livello ambientale.

Si tratta di una pratica che nasce come risposta ai danni ambientali causati dall’uomo e all’estrema necessità di affrontare il problema. Con il green marketing si pone enfasi sul contributo delle aziende nel ridurre questo impatto.

Green marketing: di cosa si tratta

Negli anni recenti, l’impatto delle attività umane sulla natura è diventato il centro del dibattito pubblico, aumentando così la consapevolezza sul problema e sul bisogno di affrontarlo.

In questo contesto anche i consumatori non sono rimasti indifferenti alle tematiche e così le strategie di marketing si sono adeguate. Questo ha portato alla nascita e alla diffusione dei termini come: green marketing, marketing sostenibile, marketing ecologico o environmental marketing. Queste sono tutte le attività di promozione che puntano sull’impegno delle aziende nel creare prodotti, servizi e campagne che puntino alla lotta contro i problemi ambientali.

L’iniziativa delle aziende e multinazionali, seppur dovrebbe partire dal singolo individuo, è un responsabilità e un dovere, così da sensibilizzare la collettività. Inoltre, è proprio compito delle aziende cercare di ridurre tale problematica e migliorare le condizioni di vita sulla terra.

Come dar vita a una strategia di marketing ecosostenibile

Una strategia di green marketing efficace è caratterizzata non solo dalla promozione di un prodotto o servizio green, ma punta allo sviluppo di una brand identity caratterizzata dall’impegno di fare scelte ecologiche.

Si dovrebbe dunque partire dai processi produttivi e dallo smaltimento dei rifiuti. Ciò consente di creare campagne di marketing che non solo comunicano l’interesse dell’azienda verso queste problematiche, ma servono anche per educare i consumatori ad abitudini di consumo e riciclo.

Le aziende possono partire da pratiche basilari come il riciclaggio dei materiali, passando dalla riduzione del consumo di energia o di carta e poi ala creazione di prodotti o di packaging fatti con materiali green.

Tutte queste attività devono essere comunicate in maniera chiara e veritiera.

Data la crescente sensibilità e consapevolezza dei consumatori nei confronti di queste problematiche, i marketer devono imparare a comunicare meglio l’impegno di un’azienda. Devono iniziare a proteggere il pianeta senza ignorare la cultura aziendale. È necessario che ci siano sforzi concreti da parte di alcuni marchi, per proteggere l’ambiente e ridurne gli aspetti negativi impatto sull’ambiente.

Pertanto, un’affermazione “verde” deve essere verificabile e accompagnata da una certificazione ambientale, come quella che dimostri che un’azienda controlla le emissioni di gas serra.

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Brand activism: di cosa si tratta

brand activism

Una marca che dimostra impegno e coinvolgimento verso una o più cause di rilevanza sociale, ambientale, politica o culturale, attua una strategia di brand activism.

Il brand activism è la manifestazione della volontà da parte dell’azienda di dimostrarsi attiva in ambito sociale e partecipare al raggiungimento del “bene comune”.

Il brand activism: l’attivismo dei marchi

Nel Ventunesimo secolo il ruolo assunto dal marketing e dalle aziende in generale non è solo la comunicazione di un purpose sociale, ma di attuare un vero e proprio piano d’azione, profondamente coerente. I clienti si aspettano che un brand prenda posizione su temi sociali, ambientali, culturali e che si mostri attivo in tale ambito.

Il brand activism è dunque il nuovo modo di fare impresa. Le aziende, infatti, per prosperare e attirare clienti devono avere un ruolo attivo nel sociale, considerando tematiche che toccano la sensibilità del pubblico.

Riassumendo, l’attivismo delle aziende è la volontà esplicita di voler prendere parte a cause in ambito sociale. Significa, pertanto, prendersi le proprie responsabilità in merito al raggiungimento di un bene considerato comune.

L’azienda, dunque, non è più un sistema chiuso, ma entra in conversazione con diversi attori, come istituzioni, politici, attivisti e altre aziende. Questa rete di relazioni dà poi vita a una vera a propria diplomazia di brand

La mission, dunque, non è più solo il guadagno, ma la soddisfazione di esigenze sociali.

Perché il brand activism è importante

Appare evidente che la componente sociale di un business è fondamentale proprio perché l’azienda è parte integrante della società. le aziende che attuano il brand activism sono aziende society-drive, ossia realtà che si fanno guidare dai problemi della società.

Il messaggio culturale è al centro e il prodotto viene messo in secondo piano.

È bene, inoltre, evidenziare l’esistenza di due tipologie di brand activism: quello progressivo e quello regressivo.

L’attivismo di tipo progressivo è caratterizzato da un impegno attivo e propositivo delle aziende che lo attuano. Quello regressivo, invece, definisce modelli di aziende atte a nascondere gli effetti negativi del prodotto offerto. Un chiaro esempio è dato dalle compagnie di tabacco che per decenni ne hanno negato le conseguenze nefasta per i consumatori.

L’attivismo dei brand e gli insight

Nella realizzazione di una pubblicità che segua le linee guida del brand activism è fondamentale tenere conto degli insight, ossia di tutti i particolari che il pubblico fornisce, consentendo di conoscerlo meglio. Maggiormente le pubblicità saranno impegnate, più profondo sarà il livello di coinvolgimento.

Ad esempio, le tensioni culturale veicolano un livello più profondo di insight, poiché mette in campo emozioni e percezioni a esse collegate.

Inoltre, dai sondaggi più recenti appare che le aziende reputate incoerenti o esterne alle questioni sociali, sono negative per l’opinione pubblica. Le nuove generazioni hanno sui brand altissime aspettative. Secondo i Millennial e la Gen Z, infatti, le aziende devono essere in grado di risolvere problemi sociali o invitare a farlo.

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Social Media Policy: cos’è e a cosa serve

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Far riferimento alla Social Media Policy significa riferirsi a un regolamento interno a un’azienda che, una volta firmato, vale quanto tutte le altre regole aziendali. Questa tipologia di contratto stabilisce le regole di condotta per chi lavora nell’azienda e interagisce con le piattaforme social.

Non si tratta di semplici linee guida, poiché la mancanza di rispetto della Social Media Policy ha conseguenze sul piano disciplinare.

Social Media Policy: la definizione

Nell’universo della comunicazione social le policy aziendali non si possono esimere dal regolamentare la presenza dei brand sui social network.

La Social Media Policy, giuridicamente, è un contratto che prevede sanzioni disciplinari per chi non lo rispetta ed è essenziale per l’immagine e la brand reputation dell’azienda.

Appare importante definire due tipologie di Social Media Policy:

  • Interna: destinatari sono dipendenti, fornitori e collaboratori esterni all’azienda che utilizzano i canali social personali e che s’interfacciano con i canali del brand
  • Esterna: riguarda la comunicazione fra utenti e brand che avviene attraverso i canali social ufficiali dell’azienda.

A cosa serve la Social Media Policy

Considerando che l’80% degli utenti comunica tramite i social, esprimendo opinioni e giudizi, anche le aziende spesso sono presenti sulle piattaforme. In questa realtà, la Media Policy ha l’obiettivo di evitare che la comunicazione online danneggi le aziende stesse. Il suo scopo è la tutela del brand reputation aziendale. Parimenti, definisce le modalità di interazione con la community esterna.

Sebbene spesso le aziende adottino una regolamentazione social solo dopo una crisi reputazionale, è stato comprovato che questa si dimostra fondamentale indipendentemente da eventuali crisi.

Il regolamento, come detto, oltre a tutelare la brand reputation, regolamenta le conversazioni e le interazione sui social, definendo le modalità di interazione con la community che nasce e si sviluppa attorno al brand.

Attualmente, inoltre, ha un ulteriore valore che le aziende stanno comprendendo. L’utilizzo corretto dei social si dimostra come uno strumento utile all’ampliamento del messaggio del brand.

Si parla, difatti, di employer branding.

Employer branding

L’employer branding è la percezione che i dipendenti e i collaboratori hanno del brand per cui lavorano.

Si tratta di una vera e propria strategia di marketing volta al miglioramento della percezione del brand. È una tecnica strettamente legata al regolamento della policy perché i canali di attuazione della strategia sono i social network.

Come scrivere una Social Media Policy

In fase di redazione di una Social Media Policy vi è la volontà di evidenziare i valori del brand, senza limitarne la libertà di espressione dei soggetti coinvolti.

Il documento finale non sarà indicativo o approssimativo, ma prescrittivo e preciso, così da non essere soggetto a possibili interpretazioni.

Per scrivere una social policy è bene rispettare alcune linee guida fondamentali:

  • spiegare le motivazioni alla base della policy;
  • indicare la funzione della pagina social;
  • elencare le regole del comportamento da rispettare;
  • citare le sanzioni per chi non rispetta le regole;
  • utilizzare uno stile chiaro, in linea con l’azienda.

Una Social Media Policy non può essere, chiaramente, copiata da quelle di altri, ma ogni policy e studiata ad hoc per l’azienda.

Per essere valido ed efficace, il regolamento dev’essere approvato e sottoscritto dall’amministratore delegato, dal diretto del personale e del rappresentante sindacale.

Per essere resa attiva e applicabile in concreto deve essere firmata da tutte le parti coinvolte in azienda.

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Vision aziendale: di cosa si tratta

vision aziendale

Col termine vision aziendale si identificano in ambito economico e aziendale tutte le proiezioni del contesto e dello scenario futuro in cui l’impresa opera. Una vision si ritiene efficace se si dimostra coerente con gli obiettivi di lungo periodo, come i valori aziendali e le aspirazioni.

Vision aziendale: definizione

La vision aziendale corrisponde, dunque, a una proiezione di come l’azienda apparirà nel futuro.

Questa serve per definire gli obiettivi di lungo periodo che l’azienda vuole raggiungere. Si basa su valori, aspirazioni e ideali del business che ha la volontà di raggiungere. Si tratta della guida alla base del progetto imprenditoriale, ossia l’ambizione, il sogno dell’impresa futura.

Affinché queste previsioni possano rivelarsi efficaci è importante che la vision sia definita, esplicita e condivisa.

Riassumendo, la vision aziendale deve avere alcuni aspetti e concetti fondamentali:

  • l’ambiente interno ed esterno in cui l’azienda opera;
  • gli obiettivi futuri realistici;
  • un arco temporale entro cui realizzare tali obiettivi;
  • i valori aziendali;
  • lo scenario futuro.

La condivisione degli aspetti della vision sono fondamentali per diffondere i valori aziendali, gli obiettivi del singolo e del gruppo. Questo affinché tutti i dipendenti dell’azienda si sentano parte integrante e fondamentale della comunità in cui lavorano.

Ciò non è sufficiente, però, affinché la vision aziendale risulti performante. La condivisione è fondamentale, ma è ugualmente necessario che questa sia realistica e concreta. Infatti, se manca la coerenza tra ciò che il manager dice e il suo relativo comportamento, questo minerà la credibilità della visione.

Come definire la visione aziendale

Considerati questi aspetti principalmente teorici, come viene effettivamente individuata la visione aziendale?

Anzitutto appare indispensabile rispondere a una serie di specifiche domande come:

  • Qual è l’ambito in cui l’azienda opera?
  • Qual è lo scopo dell’azienda?
  • Quale grande problema sta cercando di risolvere?
  • Quali sono gli obiettivi futuri realistici e come cambierà il mondo grazie a questa azienda?
  • Quali sono i valori dell’azienda?
  • Qual è lo scenario che vuole realizzare?

Tramite la definizione di questi concetti, si delinea uno statement, ossia un motto che guidi l’azienda verso l’auspicata crescita e vero gli obiettivi. Difatti, la vision in quanto immagine ideale dell’azienda dev’essere sì realista ed esplicita, ma anche lungimirante e ambiziosa.

Spesso si tende a sottovalutare il concetto di vision aziendale, ritenendolo superfluo o troppo astratto: in realtà la sua definizione è fondamentale per tenere sempre a mente lo scopo ultimo dell’azienda e il sogno ambizioso con cui si è partiti: molto spesso, infatti, nel concentrarsi sulla gestione delle attività quotidiane, si perdono facilmente di vista gli obiettivi a lungo termine e le azioni necessarie a proseguire sul cammino della crescita.

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Brand positioning: la strategia di posizionamento del brand

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Il brand positioning è definibile come la strategia di mercato di posizionamento del brand. Segnala, dunque, la posizione occupata da un brand, con i prodotti e servizi offerti, nella mente dei consumatori, rispetto ai competitor. La differenziazione, fondamentale per il posizionamento, riguarda caratteristiche di unicità del prodotto, la comunicazione pubblicitaria, la customer experience o la brand identity stessa.

Brand positioning: di cosa si tratta

I processi di acquisto legati a un prodotto, un servizio o ancora a un brand, occupano una posizione nella mente dei consumatori in base a categorie specifiche. Si tratta dell’insieme di percezioni e impressioni che il prodotto scaturisce rispetto ai competitor presenti sul mercato. Pertanto, il brand positioning dev’essere desiderabile, settoriale e distintivo.

La buona posizione di un brand permette all’azienda di essere unica rispetto ai marchi concorrenti. Questo avviene, anche, grazie a benefici che gli utenti ottengono o all’enfasi su segmenti specifici del mercato.

Un posizionamento efficace del marchio enfatizza ulteriormente gli elementi di superiorità lungo una o più dimensioni distintive che sono apprezzate dai consumatori.

È inevitabile, dunque, che una strategia di branding costruita ad hoc, debba comprendere il brand positioning.

I vantaggi di un buon posizionamento

Prima di poter parlare chiaramente dei vantaggi che un ottimo posizionamento porta all’azienda, è bene comprendere che un passaggio preliminare fondamentale da effettuare è la selezione di un segmento di mercato specifico. L’azienda deve aver bene chiaro il target di riferimento per poter costruire una differenziazione efficace rispetto ai competitor. Alla base della differenziazione vi è la cosiddetta value proposition, ossia un posizionamento che gode della combinazione tra benefici che offre la suddetta posizione.

La value proposition riguarda quindi il valore in più che la marca può offrire a quel segmento di mercato, rispetto ai competitor.

La differenziazione su cui si fonda il posizionamento del brand, poi, può riguardare elementi molto diversi. Dalle caratteristiche proprie del prodotto, dunque qualità superiore, design, durata della performance, etc.

 Il posizionamento punta su gentilezza, competenze specifiche o professionalità dello staff oppure l’azienda può decidere di focalizzarsi, come elemento di differenziazione, sulla brand image.

Ma come creare un brand positioning efficace e di successo?

Fasi del brand positioning

Per ottenere un brand positioning di successo vi sono dei passaggi imprescindibili da seguire.

Un’azienda che vuole puntare sul brand positioning, ancor prima di iniziare con le strategie, deve avere ben chiara l’attuale posizione del brand nel mercato. È fondamentale, dunque, che, tramite l’analisi della posizione corrente, si possa avere una visione chiara di come l’azienda lavora al momento.

Successivo e indispensabile è l’identificazione delle concorrenza diretta. Questo si effettua tramite un’analisi dei marchi che rappresentano un’effettiva minaccia per il brand.

Il brand deve, dunque, comprendere il valore fondamentale, i punti di forza del marchio, la natura dei prodotti e dei servizi offerti, l’etica e i fondamenti dei marchi competitivi, oltre a individuare le loro proposte di vendita uniche e i fattori che li rendono diversi e unici sul mercato e nella mente dei clienti. Questo consentirà, anche, la comprensione del posizionamento dei brand concorrenti.

Una volta conosciuti i gli avversari, è necessario avere ben chiara l’unicità propria del marchio. Si tratta di un’approfondito studio dei valori e dei fondamenti su cui il brand si formula. Dai punti di forza, alle proposte di valore, passando per la visione a lungo termine, sino agli attributi che rendono il marchio unico nel settore.

Compiuto lo studio è obbligatorio sviluppare proposte di vendita uniche e, conseguentemente, lavorare sulle dichiarazioni (statement), come la dichiarazione di mission, la dichiarazione di vision, e il payoff del brand che è allegato con il logo ufficiale.

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Brand Journalism: la promozione di un brand tramite il giornalismo

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Brand journalism è uno degli strumenti più utilizzati per consolidare e promuovere un brand. Si tratta di una modalità di marketing che coniuga le caratteristiche proprie del giornalismo, come trovare notizie e trasmetterle, e applicarle al brand e alla sua crescita.

Contestualmente all’utilizzo del brand journalism viene redatto un piano editoriale che servirà per la comunicazione aziendale.

Sebbene sia chiaro che si tratti di una modalità largamente utilizzata, è bene scoprirne le caratteristiche.

Il brand journalism

Il brand journalism nasce negli Stati Uniti nel 2004 e significa letteralmente giornalismo d’impresa. Con tale termine si indica un tipo di comunicazione che racconta all’utente il brand, la sua storia, la mission e i principi sui quali si basa.

“Il brand journalism è la cronaca degli eventi che accadono nel mondo di un brand, attraverso i giorni e gli anni. É così che creiamo per il brand un reale valore percepito dal cliente.”

Larry Light

Contribuisce ad ampliare e rafforzare l’universo di valori associati al brand, al fine di raggiungere un ampio numero di target diversificati.

Non si tratta di un giornalismo dai fini commerciali, difatti non viene impiegato per promuovere un prodotto o pubblicizzare un servizio. Il brand journalism si utilizza per produrre e diffondere notizie strettamente legate al brand.

Dalla storia, alla notorietà, così da creare un racconto e una narrazione che diano vita a un ambiente adatto al pubblico, che trasmette la personalità del brand.

Questo offre una panoramica sulle scelte, sui temi centrali, sulla politica aziendale.

Il compito del giornalista è comprendere quando una notizia può diventare rilevante per il pubblico che ha davanti, capire cosa lo emoziona e cosa lo fa entrare in empatia con il brand.

Caratteristiche del giornalismo d’impresa

Il brand journalism:

  • si fonda sui principi del giornalismo e dello storytelling;
  • crea storie basate su fatti, notizie e reali sviluppi legati all’azienda;
  • ricerca la notiziabilità;
  • è multimediale;
  • si avvale di supporto audio, video, fotografico.

Leggi anche: Brand Advocacy: cos’è e come si usa nelle strategie di marketing

Come fare giornalismo d’impresa

I social network sono indubbiamente tra i mezzi fondamentali per fare giornalismo d’impresa.

Contestualmente sarà possibile, per il giornalista che si occupa di brand journalism, gestire anche un blog, nel quale inserire storie, raccontare aneddoti e creare un rapporto col pubblico.

Si tratta, in conclusione, di una tecnica vincente perché considera tutti gli aspetti della comunicazione e tutti i suoi mezzi, da video, audio, podcast, immagini, testi, senza tralasciare o ignorare nulla.

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