Brand positioning: la strategia di posizionamento del brand

brand positioning

Il brand positioning è definibile come la strategia di mercato di posizionamento del brand. Segnala, dunque, la posizione occupata da un brand, con i prodotti e servizi offerti, nella mente dei consumatori, rispetto ai competitor. La differenziazione, fondamentale per il posizionamento, riguarda caratteristiche di unicità del prodotto, la comunicazione pubblicitaria, la customer experience o la brand identity stessa.

Brand positioning: di cosa si tratta

I processi di acquisto legati a un prodotto, un servizio o ancora a un brand, occupano una posizione nella mente dei consumatori in base a categorie specifiche. Si tratta dell’insieme di percezioni e impressioni che il prodotto scaturisce rispetto ai competitor presenti sul mercato. Pertanto, il brand positioning dev’essere desiderabile, settoriale e distintivo.

La buona posizione di un brand permette all’azienda di essere unica rispetto ai marchi concorrenti. Questo avviene, anche, grazie a benefici che gli utenti ottengono o all’enfasi su segmenti specifici del mercato.

Un posizionamento efficace del marchio enfatizza ulteriormente gli elementi di superiorità lungo una o più dimensioni distintive che sono apprezzate dai consumatori.

È inevitabile, dunque, che una strategia di branding costruita ad hoc, debba comprendere il brand positioning.

I vantaggi di un buon posizionamento

Prima di poter parlare chiaramente dei vantaggi che un ottimo posizionamento porta all’azienda, è bene comprendere che un passaggio preliminare fondamentale da effettuare è la selezione di un segmento di mercato specifico. L’azienda deve aver bene chiaro il target di riferimento per poter costruire una differenziazione efficace rispetto ai competitor. Alla base della differenziazione vi è la cosiddetta value proposition, ossia un posizionamento che gode della combinazione tra benefici che offre la suddetta posizione.

La value proposition riguarda quindi il valore in più che la marca può offrire a quel segmento di mercato, rispetto ai competitor.

La differenziazione su cui si fonda il posizionamento del brand, poi, può riguardare elementi molto diversi. Dalle caratteristiche proprie del prodotto, dunque qualità superiore, design, durata della performance, etc.

 Il posizionamento punta su gentilezza, competenze specifiche o professionalità dello staff oppure l’azienda può decidere di focalizzarsi, come elemento di differenziazione, sulla brand image.

Ma come creare un brand positioning efficace e di successo?

Fasi del brand positioning

Per ottenere un brand positioning di successo vi sono dei passaggi imprescindibili da seguire.

Un’azienda che vuole puntare sul brand positioning, ancor prima di iniziare con le strategie, deve avere ben chiara l’attuale posizione del brand nel mercato. È fondamentale, dunque, che, tramite l’analisi della posizione corrente, si possa avere una visione chiara di come l’azienda lavora al momento.

Successivo e indispensabile è l’identificazione delle concorrenza diretta. Questo si effettua tramite un’analisi dei marchi che rappresentano un’effettiva minaccia per il brand.

Il brand deve, dunque, comprendere il valore fondamentale, i punti di forza del marchio, la natura dei prodotti e dei servizi offerti, l’etica e i fondamenti dei marchi competitivi, oltre a individuare le loro proposte di vendita uniche e i fattori che li rendono diversi e unici sul mercato e nella mente dei clienti. Questo consentirà, anche, la comprensione del posizionamento dei brand concorrenti.

Una volta conosciuti i gli avversari, è necessario avere ben chiara l’unicità propria del marchio. Si tratta di un’approfondito studio dei valori e dei fondamenti su cui il brand si formula. Dai punti di forza, alle proposte di valore, passando per la visione a lungo termine, sino agli attributi che rendono il marchio unico nel settore.

Compiuto lo studio è obbligatorio sviluppare proposte di vendita uniche e, conseguentemente, lavorare sulle dichiarazioni (statement), come la dichiarazione di mission, la dichiarazione di vision, e il payoff del brand che è allegato con il logo ufficiale.

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Cost per lead cos’è e come si calcola

cost per lead

Il cost per lead, noto anche come CPL, rappresenta il costo corrisposto dall’inserzionista per ogni lead generato in un’iniziativa di marketing, in un intervallo di tempo precisato.

In sostanza, si tratta di una metrica che misura l’efficacia di una campagna pubblicitaria online che mira alla generazione di nuovi contatti, o lead.

Il CPL si calcola tramite un rapporto tra l’importo indirizzato nella pubblicità e il numero effettivo di lead generati.

Cost per lead: di cosa si tratta

Quando si effettuano campagne pubblicitarie online, è fondamentale avere delle metriche di misurazione dell’efficacia della stessa.

Essere edotti del costo di ogni singolo lead che si acquisisce è fondamentale per comprendere se la campagna ideata sia sostenibile e se i risultati mirano al raggiungimento dell’obiettivo.

Tramite il cost per lead, dunque, si misura il costo medio per l’acquisizione di un singolo lead. Chiaramente si tratta di una metrica che non considera il numero di esposizioni veicolate, ma dei risultati che questa esposizione ha generato.

Gli inserzionisti, in sostanza, pagano solo se l’utente effettua l’azione per cui quell’esposizione pubblicitaria è stata pensata e il pubblico che si crea è filtrato in base a un reale interesse nei confronti del prodotto o servizio pubblicizzato.

L’obiettivo di una campagna di lead generation è la raccolta di contatti da convertire, poi, in clienti effettivi.

Il pay per click

Dal CPL deriva il Pay Per Lead o PPL, che descrive l’acquisto di campagne pubblicitarie online.

Il cost per lead rientra in un modello di investimento pubblicitario che si basa sul numero di risposte generate dall’azione pubblicitaria.

Allo stesso modo, il Pay Per Click o PPC, che è la modalità di acquisto tipica dei motori di ricerca, in cui l’inserzionista paga solo quando l’utente clicca sul link sponsorizzato; l’acquisto di una campagna PPC avviene, in altri termini, sostenendo un costo unitario per click through (vedi Cost per click per approfondimenti).

Come si calcola il cost per lead?

La formula per calcolare il CPL è:

CPL = COSTO COMPLESSIVO / NUMERO DI LEAD GENERATI

Qualora avessimo, dunque, un inserzionista che ha acquistato una campagna dal valore di 1000 euro e ottiene 250 click il suo CPL sarà il seguente:

CPL = 1000 / 250 = 4 euro

Il costo medio di un lead generato sarà quindi 4 euro nella campagna pubblicitaria. 

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Valutazione di un sito web: di cosa si tratta e perché è importante

valutazione sito web

La valutazione di un sito web è un passaggio centrale e determinante per pianificare il successo delle performance e per migliorarle, scoprendone punti forti e deboli.

Valutare un sito significa valutarne la qualità muovendosi sulle linee guida stabilite da Google. Queste, note con l’acronimo EAT, richiamano l’expertise, l’authoritativeness e la trustworthiness. Traducibili con: competenza; autorevolezza; affidabilità.

La valutazione di un sito web: a cosa serve

Come anticipato, la valutazione di un sito web è fondamentale per comprendere se il sito esaminato è performante o se ha necessità di alcune modifiche.

Per procedere nell’analisi è possibile utilizzare degli strumenti online e dei programmi appositamente studiati. Diversamente si può affidare il controllo a una web agency in grado di produrre un report dettagliato ed eventualmente intervenire.

Affinché un sito rispetti le condizioni suggerite da Google è necessario considerare parametri tecnici e valutativi specifici.

Tra gli aspetti tecnici da valutare troviamo:

  • la velocità media di risposta del sito web (si considerano, dunque, gli aspetti legati al server);
  • la velocità media di caricamento del sito (browser utente);
  • peso della pagina;
  • percentuale di compressione e ottimizzazione delle immagini.

Oltre a quanto appena elencato, esistono altri elementi fondamentali all’interno della valutazione stessa come la conformità al GDPR e Informativa Privacy. In aggiunta troviamo l’accessibilità del sito e, ovviamente, l’ottimizzazione SEO.

Valutazione in rapporto con Google

Per valutare un sito web, come ripetuto più volte, è imprescindibile fare riferimento alle linee guida di Google in termini di Page Experience e User Experience.

Tramite le linee guida, Google chiarisce le metriche per giudicare una pagina dal punto di vista esperienziale, come:

  • tempo di caricamento;
  • stabilità del contenuto;
  • ottimizzazione per il mobile;
  • protocollo HTTPS;
  • presenza di annunci intrusivi.

Perché queste valutazioni sono così importanti

Secondo dei recenti studi di BrightLocal è emerso che, già nel lontano 2014, 9 utenti su 10 erano soliti affidarsi alle recensioni dei siti web. Di questi quasi l’88% si fidava di ciò che leggeva.

Soprattutto nel caso degli shop online i clienti e visitatori del web ottengono importanti informazioni tramite i rating e fanno affidamento alle valutazioni presenti.

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Search Advertising: come usarla per il tuo business

search advertising

Quando si parla di Search Advertising si fa inevitabilmente riferimento al posizionamento, in relazione con marketing, pubblicità e vendita online. Può, dunque, la SEA, essere la risposta al proprio business? Quali sono gli strumenti da utilizzare?

Search Advertising o SEA

La tecnica del Search Advertising permette di indirizzare il pubblico verso la ricerca di prodotti o servizi simili ai prodotti proposti dalla propria azienda, o business. Questo al fine di ottenere sempre nuovi clienti che poteranno un concreto impatto sul fatturato.

Com’è noto la Search Advertising o SEA, è parte della Search Engine Marketing, o SEM. Si tratta di un ramo del marketing digitale il cui scopo è l’attrazione di traffico specializzato sul sito. Questa si avvale di strumenti come le DEM, le campagne PPC, la SMO e la SMA, la SEO off-page e il display advertising.

Nello specifico include le strategie di web marketing: search engine optimization (SEO) e la SEA.

La SEA, è il processo che porta il sito ad apparire tra i primi risultati nella SERP mediante il cosiddetto affiliate marketing.

Leggi anche: SEO, SEA e SEM: significati e differenze

Come funziona la SEA

Nel caso della Search Advertising, parlando dunque di pubblicità online, si è strettamente legati all’universo delle keyword suella quali vengono inseriti annunci e link a pagamento. Questi sono presentati come banner, pop-up, pop-under, rich media, etc.

Il click e la risposta all’annuncio da parte dell’utente o consumatore finale compensa l’affiliato con una commissione.

I metodi della Search Advertising

La SEA si presenta suddivisa in due tipologie principali, la keyword advertising e il contextual advertising.

Nel primo caso si tratta di un annuncio pubblicitario online che si visualizza se l’utente si posiziona col cursore su una o più keyword nel testo.

Il contextual advertising, invece, è una sottoinsieme del keyword advertising. Indica le pubblicità basate sulla raccolta ed analisi ad opera del computational marketing riguardo informazioni degli utenti: siti visitati, prodotti/servizi acquistati o cercati, geolocalizzazione, ora della connessione e così via.

Conduce verso la costruzione di campagne efficacemente targettizzate, incrementando visite sul sito, tasso di conversione, nonché tasso di fidelizzazione.

Contattaci per una consulenza gratuita.

Quando si parla di Search Advertising si fa inevitabilmente riferimento al posizionamento, in relazione con marketing, pubblicità e vendita online. Può, dunque, la SEA, essere la risposta al proprio business? Quali sono gli strumenti da utilizzare?

Search Advertising o SEA

La tecnica del Search Advertising permette di indirizzare il pubblico verso la ricerca di prodotti o servizi simili ai prodotti proposti dalla propria azienda, o business. Questo al fine di ottenere sempre nuovi clienti che poteranno un concreto impatto sul fatturato.

Com’è noto la Search Advertising o SEA, è parte della Search Engine Marketing, o SEM. Si tratta di un ramo del marketing digitale il cui scopo è l’attrazione di traffico specializzato sul sito. Questa si avvale di strumenti come le DEM, le campagne PPC, la SMO e la SMA, la SEO off-page e il display advertising.

Nello specifico include le strategie di web marketing: search engine optimization (SEO) e la SEA.

La SEA, è il processo che porta il sito ad apparire tra i primi risultati nella SERP mediante il cosiddetto affiliate marketing.

Leggi anche: SEO, SEA e SEM: significati e differenze

Come funziona la SEA

Nel caso della Search Advertising, parlando dunque di pubblicità online, si è strettamente legati all’universo delle keyword suella quali vengono inseriti annunci e link a pagamento. Questi sono presentati come banner, pop-up, pop-under, rich media, etc.

Il click e la risposta all’annuncio da parte dell’utente o consumatore finale compensa l’affiliato con una commissione.

I metodi della Search Advertising

La SEA si presenta suddivisa in due tipologie principali, la keyword advertising e il contextual advertising.

Nel primo caso si tratta di un annuncio pubblicitario online che si visualizza se l’utente si posiziona col cursore su una o più keyword nel testo.

Il contextual advertising, invece, è una sottoinsieme del keyword advertising. Indica le pubblicità basate sulla raccolta ed analisi ad opera del computational marketing riguardo informazioni degli utenti: siti visitati, prodotti/servizi acquistati o cercati, geolocalizzazione, ora della connessione e così via.

Conduce verso la costruzione di campagne efficacemente targettizzate, incrementando visite sul sito, tasso di conversione, nonché tasso di fidelizzazione.

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Cos’è il funnel? Cosa lo rende fondamentale?

funnel

I processi di vendita non sono così semplici, soprattutto se si cerca di vendere un prodotto o un servizio che nessuno conosce.

Tuttavia, il processo si semplifica non appena il potenziale cliente viene accuratamente informato e conseguentemente trasformato in quello che viene definito un contatto caldo, o una lead. Questi utenti sono realmente propensi all’acquisto grazie a un processo meglio noto come funnel commerciale.

Cos’è il funnel

Col termine funnel, o sales funnel o funnel commerciale, si descrivono tutti i processi tramite i quali le aziende guidano i clienti nell’acquisto dei prodotti. Si tratta di un percorso a imbuto con cui i marketer e le aziende trasformano i normali visitato in lead, ossia in contatti interessati ai prodotti e servizi offerti. Questo avviene solo dopo aver distribuito i contenuti di valore che hanno lo scopo di informare e stuzzicare i contatti.

Il tipico funnel è suddiviso in più fasi, che differiscono a seconda del modello di vendita scelto. Generalmente il funnel si suddivide in quattro fasi: consapevolezza, interesse, decisione e azione.

Le fasi del funnel

Secondo quanto appena affermato il funnel si suddivide in 4 momenti principali che partendo dall’alto, dunque dalla bocca dell’imbuto, scendono via via restringendosi.

Funnel, nello specifico, significa letteralmente “imbuto”.

Consapevolezza

Al primo posto troviamo la consapevolezza: si tratta di un processo che mira a rendere gli utenti edotti della propria presenza sul mercato. In questa prima fase si mira anche a far conoscere il prodotto e generare curiosità. Per farlo si potrebbero offrire contenuti di valore a titolo gratuito per invogliare i visitatori a lasciare l’indirizzo e-mail.

Questi materiali sono utili sia per gli utenti, sia per l’azienda che acquisisce informazioni da poter usare per stimolare i clienti a passare allo step successivo.

Interesse

Il secondo passaggio è denominato interesse. Si è finalmente giunti al momento di offrire valore, pensando sempre più alla vendita finale. Tuttavia, adesso, non si propongono più materiali a titolo gratuito, ma si può puntare con qualcosa a basso costo. Si parla di oggetti o servizi come un ebook, la partecipazione a un webinar, pillole di un corso e materiali simili.

Tutti coloro che si mostreranno disposti ad acquistare questi contenuti saranno contatti realmente interessati a ciò che viene proposto e sono idonei a passare alla terza fase del funnel: decisione.

Decisione

Durante la fase di decisione è opportuno offrire servizi o prodotti costosi. Questi sono necessari per accrescere il desiderio dei potenziali clienti nei confronti dei prodotti.

Tramite email, lettere di vendita e strumenti vari si cerca di convincere gli interessati a rimanere e affezionarsi.
C’è da considerare che i contatti a questo punto saranno numericamente di meno rispetto a quelli di partenza.

Azione

Questo porta all’ultima e fondamentale fase, quella dell’azione vera e propria.

Dopo aver attratto, incuriosito e nutrito i potenziali clienti, vengono proposti i prodotti di punta del business.
Anche se non concluderanno subito l’acquisto, bisognerà continuare a seguirli e a offrire loro contenuti di qualità. Un momentaneo diniego da coloro che hanno mostrato palese interesse può trasformarsi in un acquisto.

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La cross selling e le strategie per aumentare le vendite

cross selling

La pandemia da Covid-19 cambia le aspettative, i bisogni e i comportamenti d’acquisto. Questo ha portato marketer e strategist ad affrontare nuove sfide e adottare nuove stretegie. La cross selling è una delle più utilizzate e consiste nel suggerire al cliente un prodotto che sia complementare a quello richiesto o già acquistato.

Cos’è la cross selling?

La cross selling, come già specificato, è una strategia di vendita che propone al cliente di acquistare un prodotto simile alla propria domanda o già acquistato. Tale prodotto deve poter integrare, completare o migliorare l’acquisto, tenendo conto delle preferenze del consumatore.

La cross selling è spesso associata alla strategia di up selling, pur presentando delle differenze sostanziali da quest’ultima.

L’up selling, infatti, consiste nel suggerire l’acquisto di un prodotto di fascia superiore o consiglia di acquistare una quantità maggiore del dato prodotto.

Nonostante le differenze, si tratta chiaramente di strategie definibili come win-to-win, in quanto sfruttano la varietà dell’offerta di un’azienda, presentando specifici sconti. Così, i marketer fanno conoscere all’acquirente una gamma di prodotti e servizi venduti più ampia, permettendo così di ampliare le probabilità di conversione.

I vantaggi

Letteralmente la cross selling è nota come vendita incrociata. mira all’incremento delle vendite nel breve termine. Il cliente è spinto ad acquistare prodotti grazie al consiglio complementare che gli viene fornito. Il valore del prodotto suggerito è dunque collegato all’interesse o alla preferenza dell’acquirente. Si punta così anche all’ottimizzazione dell’esperienza dello stesso, aumentando di conseguenza la brand loyalty.

Leggi anche: Brand reputation: il valore di un’azienda passa dalla brand identity

La strategia è spesso accompagnata da uno sconto specifico per l’acquisto di più prodotti, rispetto a quando viene acquistato singolarmente. È poi possibile proporre prodotti o servizi complementari sia appartenenti che esterni alla categoria merceologica di quello desiderato o precedentemente acquistato.

Queste strategie sono ampiamente utilizzate per la vendita fisica e per quella online. È comune, infatti, trovare questi suggerimenti sugli e-commerce.

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Video Advertising: il video come formato pubblicitario preferito

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Il mondo dell’advertising conferma la sua presenza in un’infinità di campi, piattaforme e ambiti. Ad oggi, tuttavia, pare che il video advertising sia uno dei formati pubblicitari più richiesti e utilizzati.

A fare parte di questa categoria sono tutti i contenuti pubblicitari che prevedono dei video.

La fama del video advertising è dovuta alla crescita che, anno dopo anno, ha caratterizzato il mondo dei video e la loro visibilità. La percentuale di visione, e fruizione, risulta essere sempre più alta, tanto che nel 2018 il 58% dei contenuti web era riconducibile a contenuti video.

Considerati questi numeri i marketer inseriscono costantemente elementi video nelle campagne ADS.

Il video advertising: tipologie e caratteristiche

Il video advertising si presenta ai marketer, e al pubblico, suddiviso in due macro tipologie: gli in stream video ads e gli in page video e in text video ads.

Col primo gruppo si caratterizzano tutti i formati di video adv più diffusi. Un esempio è il pre roll, si tratta di un annuncio pubblicitario che compare prima dell’inizio del video che si desidera vedere. Questi video ads sono apprezzti dai marketer poiché colpiscono l’utente in un momento di estrema attenzione e concentrazione. Altri formati sono i mid roll, inseriti nel mezzo, e i post roll.

Per quanto riguarda, invece, gli in page video ads e gli in text video ads si fa riferimento ai banner e pop-up a scopi pubblicitari che presentano un contenuto multimediale. Molto in voga i video che compaiono solo con lo scroll dell’articolo o della pagina (meno invasivi e di maggiore impatto i cosiddetti overlay video ads).

Appare evidente che nella video advertising rientrino anche i classici spot pubblicitari e i formati tradizionali che prevedono la presenza di video nelle strategie di marketing.

Video adv in Italia: i numeri

In Italia la visualizzazione dei video è cresciuta del 25%. Gli utenti passano parecchie ore delle proprie giornate osservando servizi in streaming e questo si trasforma in un diretto vantaggio per gli inserzionisti.

Questi dati sono essenziali per catalogare e conoscere le abitudini degli utenti e le loro preferenze sulle pubblicità.

Nello specifico emerge che 3 persone su 5 godono di servizi a pagamento. Seguono poi dirette streaming du piattaforme come Twitch.

Ciò spinge verso la creazione di strategie di marketing che puntano tutte le forze su contenuti video che risultino efficaci e che spinga l’utente ad affidarsi all’azienda, marchio o brand.

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Creare un sito web: i passaggi preliminari

sito web

La rivoluzione digitale ha spinto aziende, marchi, brand e imprenditori a considerare l’universo della Rete come il luogo nel quale approdare. Sebbene il desiderio di alcuni sia la semplice condivisione delle proprie passioni, per altri la realizzazione di un sito web corrisponde alla creazione di una vetrina dei propri lavori, prodotti o servizi.

Appare dunque chiaro che la creazione di un sito web sia, ad oggi, imprescindibile soprattutto quando si fa riferimento alla sfera business. Sono, difatti, moltissime le aziende che attualmente aprono un proprio spazio digitale, per farsi conoscere, espandere il target e acquisire visibilità.

La realizzazione di un sito può, appunto, portare flussi di nuovi clienti parecchio consistenti poiché consente di far conoscere a un pubblico più vasto l’offerta che si propone. Il tutto viene incrementato, chiaramente, dalla creazione di campagne di comunicazione in grado di coinvolgere il web e l’ambito social.

Ma come si crea un sito efficace e performante? Quali sono gli elementi fondamentali?

Creare un sito web: il dominio

Appare fondamentale durante il processo di creazione di un sito web il passaggio di acquisto del dominio. Il dominio è l’indirizzo univoco attraverso il quale si richiama un sito internet sulla rete. Si tratta di un vero e proprio biglietto da visita e comunica rapidamente e in maniera semplice con i clienti.

Esistono diversi principi su cui basarsi per scegliere il giusto dominio.

Primo fra tutti la memorabilità del nome. Nel caso in cui si tratti di un blog, ad esempio, il nome di dominio deve richiamare il tema trattato sulle pagine. Se, invece, è il sito di un professionista, il nome dominio può coincidere col proprio nome anagrafico. Infine, per un sito aziendale, l’ideale è l’utilizzo del brand o della ragione sociale.

È sconsigliato usare nomi troppo lunghi o inserire all’interno del dominio keyword di ricerca.

Leggi anche: SEO, SEA e SEM: significati e differenze

Il servizio di hosting

Un secondo elemento fondamentale per creare un sito web è la scelta del servizio di hosting. Per chiarie, la parola hosting deriva dall’inglese to host, che vuol dire ospitare. In informatica, invece, si riferisce ad un servizio di rete che permette di ospitare un sito web, quindi delle pagine web, su un server, rendendolo accessibile su Internet dai visitatori.

La scelta di adozione di un servizio di hosting al posto di un altro è un passaggio che tiene in considerazione, soprattutto, le esigenze dell’azienda. Non tutti i provider, infatti, offrono gli stessi servizi.

È evidente che nella scelte viene tenuto in considerazione il budget a disposizione, tuttavia, sulla base dell’importanza del progetto, si consiglia di evitare di risparmiare proprio sul server. Questo potrebbe causare rallentamenti o potrebbe rendere il sito irraggiungibile.

Un hosting provider deve essere dotato di un ottimo servizio clienti che possa intervenire tempestivamente in caso di necessità.

E il CMS?

Considerati dominio e hosting si può realizzare concretamente il proprio sito web. La partenza è indubbiamente legata alla scelta dei tools idonei ai propri obiettivi. Se si è intenzionati a realizzare un e-commerce, ad esempio, è opportuno utilizzare un CMS legato al mondo delle vendite, come Prestashop.

Se invece si apre un sito vetrina si può utilizzare un CMS open source come WordPress, lo strumento più utilizzato per realizzare siti internet sia amatoriali che professionali.

Grazie alla presenza di questi CMS ad oggi si può realizzare anche un sito web in totale autonomia, fatta eccezione per progetti più complessi.

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Brand Journalism: la promozione di un brand tramite il giornalismo

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Brand journalism è uno degli strumenti più utilizzati per consolidare e promuovere un brand. Si tratta di una modalità di marketing che coniuga le caratteristiche proprie del giornalismo, come trovare notizie e trasmetterle, e applicarle al brand e alla sua crescita.

Contestualmente all’utilizzo del brand journalism viene redatto un piano editoriale che servirà per la comunicazione aziendale.

Sebbene sia chiaro che si tratti di una modalità largamente utilizzata, è bene scoprirne le caratteristiche.

Il brand journalism

Il brand journalism nasce negli Stati Uniti nel 2004 e significa letteralmente giornalismo d’impresa. Con tale termine si indica un tipo di comunicazione che racconta all’utente il brand, la sua storia, la mission e i principi sui quali si basa.

“Il brand journalism è la cronaca degli eventi che accadono nel mondo di un brand, attraverso i giorni e gli anni. É così che creiamo per il brand un reale valore percepito dal cliente.”

Larry Light

Contribuisce ad ampliare e rafforzare l’universo di valori associati al brand, al fine di raggiungere un ampio numero di target diversificati.

Non si tratta di un giornalismo dai fini commerciali, difatti non viene impiegato per promuovere un prodotto o pubblicizzare un servizio. Il brand journalism si utilizza per produrre e diffondere notizie strettamente legate al brand.

Dalla storia, alla notorietà, così da creare un racconto e una narrazione che diano vita a un ambiente adatto al pubblico, che trasmette la personalità del brand.

Questo offre una panoramica sulle scelte, sui temi centrali, sulla politica aziendale.

Il compito del giornalista è comprendere quando una notizia può diventare rilevante per il pubblico che ha davanti, capire cosa lo emoziona e cosa lo fa entrare in empatia con il brand.

Caratteristiche del giornalismo d’impresa

Il brand journalism:

  • si fonda sui principi del giornalismo e dello storytelling;
  • crea storie basate su fatti, notizie e reali sviluppi legati all’azienda;
  • ricerca la notiziabilità;
  • è multimediale;
  • si avvale di supporto audio, video, fotografico.

Leggi anche: Brand Advocacy: cos’è e come si usa nelle strategie di marketing

Come fare giornalismo d’impresa

I social network sono indubbiamente tra i mezzi fondamentali per fare giornalismo d’impresa.

Contestualmente sarà possibile, per il giornalista che si occupa di brand journalism, gestire anche un blog, nel quale inserire storie, raccontare aneddoti e creare un rapporto col pubblico.

Si tratta, in conclusione, di una tecnica vincente perché considera tutti gli aspetti della comunicazione e tutti i suoi mezzi, da video, audio, podcast, immagini, testi, senza tralasciare o ignorare nulla.

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